Giacomo Di Girolamo, scatenando il putiferio dentro Facebook e non solo, mette in giro un appello dal titolo eloquente: “Ma io per il terremoto non do nemmeno un euro”.
Adriano Sofri, dalle colonne di Repubblica, così conclude il suo commento: “Gli italiani che hanno mandato il loro obolo ai loro vicini d’Abruzzo si sono magari, anche, lavati a buon prezzo la coscienza: ma certamente, la gran maggioranza di loro, dunque indipendentemente dal sentimento politico, si sono fatti il regalo di aiutare i loro simili di cui era così facile vedere e immaginare il dolore”.
Penso che ogni gesto di solidarietà sia da salvaguardare come un dono prezioso, per il bene che produce anzitutto in chi lo compie.
Ma è pur vero che la confusione sotto il cielo è grande, se per primo il presidente del Consiglio sovrappone (o elude) le responsabilità politiche con i gesti di carità. Impegnare il governo in aiuti e ricostruzione e sollecitare le indagini sulla malaedilizia non è come ospitare i terremotati in “tre delle sue case” o regalare dentiere.
L’indignata e provocatoria lettera di Di Girolamo, che consiglio di leggere integralmente qui (grazie a Vittorio Zambardino) dovrebbe farci riflettere, esigere che i diritti vengano rispettati, e poi lasciarci liberi di aiutare ed essere aiutati…
un commento da “Il senso della solidarietà”
Anche io vorrei essere libero di aiutare chi oggi, purtroppo, non ha più casa o lavoro. E vorrei farlo senza assistere agli sprechi assurdi dovuti al proliferare di giornate elettorali che si potrebbero accorpare, ad opere pubbliche come il ponte sullo stretto che forse è utile ma certo non così urgente, a decine di ministri e politici che si sentono in dovere di visitare le aree disastrate sperperando denaro pubblico solo per farsi vedere.
Non posso che essere d’accordo con quanto scrive Di Girolamo (l’articolo completo si trova a questo indirizzo: http://www.a.marsala.it/index.php?view=article&id=4952) anche se in modo così provocatorio e diretto. Prima di dare un altro euro vorrei sapere come è stato usato quello che ho già dato.
Angelo A.