Dal 2005 insegno “Economia e gestione delle imprese editoriali” all’Università di Tor Vergata. Il Corso, che fino al 2007 si è chiamato Laurea Specialistica in “Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo”, dal 2008 è divenuto Laurea Magistrale in “Informazione e sistemi editoriali”, come previsto dal nuovo ordinamento.
L’esperienza che ho avuto l’opportunità di vivere insegnando in questo Corso è stata spesso faticosa, sommandosi alla direzione della casa editrice, un lavoro per me già tanto impegnativo. È stata a volte divertente, quando con gli studenti abbiamo condiviso con intelligente ironia la capacità di osservare il mondo con occhio attento e critico. È stata sempre stimolante, ancor più quando avvertivo uno scarto tra quanto andavo raccontando e l’assenza di una partecipazione attiva durante le lezioni.
Ho scoperto la passione per la didattica, una pratica che solo marginalmente, e in contesti assai diversi, avevo frequentato in passato. Ne ho potuto apprezzare la continua sollecitazione a misurarsi con le proprie convinzioni, la necessità di imparare a comprendere per spiegare, il richiamo al rigore e alla sistemazione delle proprie idee ed esperienze: faccende utili per me, prima di poterlo diventare per gli studenti.
Ho anche potuto apprezzare e condividere, pur tra le molte difficoltà che ne hanno segnato la vita in questi anni, l’impegno con il quale il Corso è stato orientato e diretto, ponendo una costante attenzione agli studenti, ai loro bisogni ma più ancora ai loro diritti.
Non è dunque per caso che il Corso, nonostante la sua breve vita, abbia ottenuto risultati rilevanti: uno dei corsi migliori della Facoltà per numero di iscritti (551 in 4 anni), percentuale dei laureati (58,7% nel biennio 2006/2008, un dato superiore alla media nazionale), qualità della didattica.
Ci si aspetterebbe che la Facoltà investisse su un Corso con tali caratteristiche, per esempio impegnandosi a integrare e sostituire, con un maggior numero di insegnamenti di ruolo, l’eccessiva presenza di docenti “a contratto”, presenza peraltro necessaria a garantire quella pluralità di conoscenze, competenze, sguardi che una Laurea di secondo livello dovrebbe proporsi come vincolo irrinunciabile.
Invece accade il contrario. Il 6 maggio scorso, durante la riunione dei presidenti dei Corsi di Laurea, il Preside ha proposto di “mettere a tacere”, per il prossimo anno, “Informazione e sistemi editoriali”; e di annetterlo a quello di “Progettazione e gestione dei sistemi turistici” (la ragione di tale scelta ha il sapore di una beffa ulteriore; qui l’elenco di tutti i Corsi di Laurea Magistrale) a partire dall’a.a. 2010/2011.
La decisione, se non sarà scongiurata, verrà votata dal prossimo Consiglio di Facoltà, martedì 12 maggio.
Ecco, se ho scelto di accettare la candidatura con l’Idv è anche perché in Italia questo può divenire un evento nella norma, qualcosa di cui non stupirsi, per cui non indignarsi e ribellarsi. Qualcosa che, operando quotidianamente sulla nostra pelle, crea i presupposti per le “riforme” peggiori, i tagli indiscriminati, le astratte invocazioni di un merito perduto chissà dove. Ma un atto come questo funziona soprattutto come dispositivo che mortifica e assoggetta, facendo apparire vana ogni forma di resistenza; e rende la formula “mettere a tacere” sinistramente adeguata nel restituire il senso di precise scelte di politica culturale.
3 commenti da “Un Corso di Laurea “messo a tacere””
Sono arrivata sei anni fa in Italia e ho collaborato per quattro anni con la cattedra di antropologia culturale della Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università La Sapienza di Roma. Nel corso di questa esperienza, ho visto con tristezza declinare la qualità del servizio offerto agli studenti che in balia di riforme, corsi che si aprono, si chiudono, crediti formativi da accumulare, vivono il loro percorso di laurea con angoscia e insoddisfazione. Sensazioni che secondo gli studenti stessi nascono anche dall’assenza dei necessari spazi per il dibattito tra colleghi di studio, per il dialogo con i docenti, per l’approfondimento della comprensione non esclusivamente nozionistica. Mi chiedo per quale motivo, in un contesto come quello dell’Università attuale, si chiudano i corsi che funzionano meglio e che sono più apprezati dagli studenti. Mi stupisce che le decisioni prese nei Consigli di Facoltà siano complici di questo processo d’impoverimento progressivo. Conosco il lavoro editoriale svolto dalla profesoressa Luisa Capelli, conosco la sua passione e la sua professionalità: perdere lei e il corso di laurea in cui insegna è un errore che l’università non può permettersi.
scusate il mio ritardo ma sto in una situazione di debolezza e superlavoro…. quello che accade a luisa, se confermato, mi getta nella costernazione e nella stessa situazione capitata a me in particolare ma ancor più a una linea politica culturale perseguita ciecamente dalla mia facoltà di scienze della com unicazione che chiude in questo momento antropologia culturale che invece dovrebbe essere centrale per contrastare i noti processi politici esplicitamente razzisti di questo governo e che sono penetrati tra diversificati strati della popolazione. e allora dobbiamo protestare!!!
Quello che sta succedendo nella Facoltà di Lettere di Tor Vergata è un piccolo esempio di come le Università, a volte, si mettano a ricevere in poppa il vento distruttivo di un governo che le vuole alla deriva. Da anni si sta smantellando l’Università pubblica per favorire istituzioni private, si cerca di trasformare gli Atenei in fondazioni! E questo accade anche per la Scuola, con le equiparazioni e gli istituti paritari che il Governo Berlusconi ha favorito e incentivato, al punto che oggi puoi “comprarti” un diploma liceale senza mai andare a scuola, e poi accedere tranquillamente alle università e “parcheggiarti” per anni.
La sfida a cui siamo tutti chiamati, studenti, docenti, ricercatori e semplici cittadini amanti del Sapere Pubblico (con le maiuscole), è di resistere. Non permettere che il sapere sia una merce da acquistare sotto forma di rette e cfu, non permettere che le aziende private e le banche siano da considerare l’unica fonte per finanziare la ricerca di cui un Paese civile ha bisogno nel 2009. Non posso fidarmi di una banca o di un’azienda – per come oggi esse funzionano e per il sistema malato che hanno creato – che finanzino un qualsiasi progetto di ricerca, loro vogliono i “sùbiti guadagni”, non sono in grado di capire che occorre lungimiranza, che il sapere e la ricerca sono prima di tutto un investimento per il futuro dell’umanità. Così come non posso immaginare una Università privata che risponde alla Chiesa Cattolica o a Confindustria (leggi Luiss, Lumsa ecc.) che formi dottori in Editoria e giornalismo… sarà un mio pregiudizio, ma non lo so superare!
Dobbiamo difendere sempre e comunque la nostra Università pubblica.