Queste sono davvero pessime giornate. Una pensa che il limite sia stato raggiunto, che peggio di così eccetera eccetera. Invece ecco che arriva l’ennesima mazzata e capisci quanto i saggi fossero veramente saggi ricordando che il peggio non è mai morto.
Quello che mi offende e mi indigna non è tanto il fatto che il governo abbia varato un decreto “interpretativo” (sì, ciao) che è la quintessenza dello strapotere berlusconiano, quanto che il Presidente della Repubblica lo abbia sottoscritto.
Se Napolitano sia stato minacciato non lo sapremo mai, quello che sappiamo è che un Presidente della Repubblica non si piega alle minacce: è stato eletto proprio per le qualità che dovrebbero renderlo, meglio di altri, preparato a resistervi.
Il decreto forza la mano dei Tribunali regionali che in queste ore stanno decidendo l’ammissibilità o meno delle liste per le prossime elezioni regionali del 28 e 29 marzo. E obbliga i giudici a ignorare la legge esistente (quella in base alla quale le elezioni sono state indette e tutti vi stiamo partecipando), adottando nuovi criteri per emettere la sentenza.
Perché, come scrive Ferdinando Imposimato, “Il decreto (‘salva-lista’ n. 29 del 5 marzo 2010) stravolge le regole non le interpreta“, in quanto: “la legge chiara non richiede interpretazione, specie da chi è parte in causa, come il governo”. E aggiunge che “il Presidente della Repubblica non poteva firmare il decreto, che non spiega ma introduce una nuova regola, stravolgendo, a vantaggio di una parte, quella esistente“.
Ma la faccenda più assurda è che la nuova regola stabilisce che la presenza di una persona nell’ufficio elettorale equivale alla consegna della lista elettorale. Come se fosse sufficiente entrare in un ufficio postale per dimostrare di aver pagato un conto corrente, entrare nell’atrio scolastico per risultare presenti alle lezioni, recarsi dove si svolge un concorso per parteciparvi. Citando ancora Imposimato: “si viola la legge attraverso un’altra legge che introduce una regola sbagliata“.
Così contano sulla riammissione della lista del Pdl, non presentata nel Lazio per la provincia di Roma, a causa della ormai nota assenza dal tribunale dei rappresentanti che erano stati incaricati del compito.
Accenno brevemente alla vicenda riguardante la Lombardia: per la lista di Formigoni, come scrivevo qui, appariva già piuttosto probabile l’ammissione senza ricorso a leggi speciali. Così è stato, come dimostra la decisione di ieri del Tar, che pare essere stata presa senza tener conto del decreto “salva liste”, non ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale quando i giudici hanno iniziato la camera di consiglio.
Dunque torniamo al Lazio, che appare la causa principale del mostro giuridico partorito dal governo e sottoscritto da Napolitano.
Il Presidente Napolitano, per spiegare la sua decisione, ha pubblicato sul sito del Quirinale una lettera di risposta a due cittadini nella quale fa riferimento unicamente al caso lombardo: “Non era sostenibile – scrive Napolitano – che potessero non parteciparvi nella più grande regione italiana il candidato presidente e la lista del maggior partito politico di governo”.
Il Presidente tace sul Lazio, poiché qui, come ben spiega la giudice Anna Argento (Presidente della Prima Sezione della Corte d’Assise di Roma – denunciata per abuso d’ufficio!) “nulla avevamo, non si poteva valutare una lista che materialmente non esisteva“:
Il Presidente Napolitano fa genericamente appello alla necessità di garantire il “diritto dei cittadini di scegliere col voto tra programmi e schieramenti alternativi” ma è opportuno ricordare che, nella provincia di Roma (quella dove la lista del Pdl non è stata ammessa) gli elettori avrebbero comunque potuto votare la lista della candidata governatrice e altre quattro liste apparentate regolarmente presentate nei termini: Udc, La Destra-Storace, Udeur, Movimento per Roma e per il Lazio di Michele Baldi.
La lista esclusa, quella del Pdl, è però una lista che muove tanti, troppi soldi perché i candidati che vi sono inclusi potessero trovarsi fuori dai giochi: a loro è dedicato il decreto interpretativo. Loro non fanno le file e non si occupano di presentare le liste; loro la politica la fanno promettendo ed elargendo favori (ed esigendone di salatissimi in cambio).
Firmando il decreto del governo il Presidente Napolitano ha preferito difendere i loro interessi anziché quelli dei cittadini che rispettano le regole.
Ma la partita non è chiusa: i giudici del TAR possono sollevare la questione di Costituzionalità per violazione dell’art. 3, “la legge è uguale per tutti“; e la Regione Lazio ha già annunciato che muoverà davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di competenza contro il decreto legge interpretativo.
E poi ci siamo noi cittadini, che abbiamo il diritto e il dovere di ribellarci a un sopruso che ancora una volta premia i forti e punisce i deboli.
4 commenti da “Offesa e indignata”
Non si tratta di un decreto interpretativo in quanto stravolge l’impianto della legge. E lo fa in maniera retroattiva. La rende palesemente incoerente e viola l’articolo 3 della costituzione (tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge). Inoltre in materia elettorale secondo il IV comma dell’articolo 74 della costituzione non può intervenire il Governo ma deve farlo il parlamento (con i tempi che gli competono). Con questi vizi sostanziali e procedurali il presidente della repubblica non poteva né doveva firmare il decreto. Certo che chiedere l’impeachement ora è un segnale forte, ma chi sostituirebbe il presidente dellas repubblica? Il presidente del senato. Mi sa che con Schifani siamo dalla padella alla brace.
Errata corrige: mi riferivo all’articolo 72 non al 74 della costituzione della Repubblica Italiana.
Che dire, Luisa? Altro non posso fare che darti un input terribile sul polso della cittadinanza, e cioè che questo fatto è stato davvero una batosta scoraggiante, per tanti cittadini… Io posso dirti che se andrò a votare alle Regionali di fine mese sarà soltanto perché ci sei tu, altrimenti davvero non avrei più nessuna fiducia, perché ciò che è successo stavolta è stato di una gravità incredibile per la democrazia, e temo che la grande maggioranza degli elettori del PdL sia d’accordo…
@Giulio, grazie per il commento e l’integrazione. Penso che sui complessi di norme violate da questo decreto potremmo scrivere a lungo: oltre alla Costituzione, la legge 400 del 1988, che all’art. 15, stabilisce che il Governo non può disciplinare con decreto-legge le materie di cui all’art. 72 della Costituzione, tra cui rientrano i provvedimenti in materia elettorale. E poi c’è il conflitto di competenze con le Regioni, in molti ambiti, tra cui quello elettorale, autonome dallo Stato.
Insomma, un pasticcio ancor più grande del pasticcio commesso da quei figuri (incompetenti, superficiali o lestofanti) che hanno presentato le liste.
@Enzo, grazie anche a te, per l’attestato di stima, ma ancor più ti sono grata poiché se c’è una ragione per la quale ho scelto di candidarmi è proprio per tentare di riprendere la parola persone come noi. Non ci conosciamo di persona, ma attraverso i reciproci commenti su Fb (persino sulla panificazione casalinga) abbiamo, credo, imparato qualcosa l’uno dell’altra e a fidarci almeno un po’.
Ecco, se una persona come te andrà a votare grazie a questa relazione epistolare (che non è affatto virtuale), sarà per me una grande ragione di orgoglio.
Dobbiamo scuoterci dal torpore e dalla rassegnazione, Enzo, o dall’illusione di poter coltivare singolarmente qualche isola, se non di felicità, di tranquillità. Non è così: non ci sono spazi di libertà per ciascuno se non ci sono per tutti.
Ma non penso che nulla si possa cambiare e moltissimo c’è da fare insieme: il televoto non è ancora operante in questo Paese…