Caro Marco,
sto seguendo con attenzione il dibattito successivo al tuo post e alle precedenti riflessioni di Barillari (e del gruppo TQ).
Anche io ho avuto modo in questi anni di riflettere e discutere del mestiere di editore attraverso l’impegno universitario, oltre che misurandomi quotidianamente con il lavoro editoriale.
Proprio il confronto serrato con gli studenti ha costituito l’occasione per riuscire a cogliere con maggiore profondità di analisi alcuni dei nodi in cui si dibatte l’industria libraria, da un lato prendendo la necessaria distanza dalle contingenze dell’attività editoriale, dall’altro sottraendosi ai periodici (e spesso vacui) tormentoni cui ci trascina il dibattito, più o meno mainstream.
Tenterò, perciò, di ragionare sulle tue riflessioni e sulla tua proposta, riprendendo alcune considerazioni che proponevo più di un anno fa, aggiornandole alla discussione presente che vorrei non si riducesse al sondaggio pro o contro lo slogan del giorno, rischio che tu stesso segnali e dal quale inviti a sottrarsi.
Partirei però proprio da quello slogan, “decrescita editoriale”, poiché in quella formula è insita l’idea che pubblicare meno significhi pubblicare “meglio”. Già la nozione di un meglio (per chi? su quali basi?) è portatrice, se va bene, di pericolosi equivoci; se poi guardo alla mia personale esperienza nella saggistica posso testimoniare che i libri migliori, spesso, nascono dallo scambio e dalla condivisione di una riflessione comune, da un confronto plurale (che di frequente si traduce in altrettanti volumi), piuttosto che dal parto romantico e solitario di un autore (eventualmente accompagnato al suo editor/editore). Questo lavoro collettivo è divenuto oggi assai più evidente grazie alla rete, là dove le persone coltivano specialismi apparentemente autoreferenziali, che osservati meglio si manifestano come nicchie di saperi importanti da coltivare. Come per l’università: quando si ragiona sull’utilità di mantenere un corso, che so, di assirologia, pur essendoci solo due iscritti. Quale sarà l’ateneo che potrà e vorrà permettersi di mantenerlo, in perdita certa per gli attuali parametri di valutazione?
Per la narrativa le cose vanno diversamente? Certo, sui cloni dei vampiri, maghetti o signore in cucina potremmo imporre una moratoria. Ma su che base scegliere la migliore riedizione di un classico? Il marchio editoriale, il prezzo, una certa introduzione, una nuova traduzione? E come esser fiduciosi nella capacità e volontà dell’editoria di sperimentare, pubblicando l’autore ignoto, la ricerca stilistica, i contenuti innovativi, se il budget previsionale segna negativo?
Il fatto è che la conoscenza (l’arte, l’informazione, i saperi…), in quanto bene comune, è irriducibile all’utile (e non solo a quello economico), mentre i sistemi di selezione si basano, oggi, quasi unicamente su quello.
Con gli studenti, quest’anno, abbiamo avviato un blog di recensioni dedicato alle pubblicazioni degli editori indipendenti: per molti di loro, confrontarsi con una produzione tanto ricca quanto semisconosciuta è stata un’autentica sorpresa. Conoscevano alcuni di quegli editori, ne avevano letto qualche libro, ma la dimensione della proposta, in termini di ricerca, cura, scommessa culturale ha rappresentato una scoperta che penso resterà nella loro esperienza di lettori. Come lettori, d’ora in avanti, a prescindere dal canale in cui sceglieranno di compiere i loro acquisti (libreria di catena, indipendente, store on line), sanno che vale la pena cercare oltre le proposte da banco o da vetrina.
Se riteniamo importante consentire di esprimersi a questa pluralità di offerta, alla bibliodiversità, il problema però è come riuscirci, posto che quanto affermato da Gian Arturo Ferrari – pubblicare costa così poco da convenire più di un’indagine di mercato su quello stesso titolo – vale probabilmente per i grandi gruppi editoriali, non certo per editori che con poche decine di migliaia di euro mandano avanti la baracca intera (e forse adottano sistemi diversi dalle indagini di mercato per scegliere i libri da pubblicare).
Il punto è spinoso, poiché anche l’editoria digitale, che altrove sta già offrendo un’alternativa fondamentale alle perverse regole del mercato tradizionale, si troverà a sua volta a fare i conti con forme di concentrazione altrettanto potenti giocate dai grandi player globali – Amazon, Google, iTunes (e tale possibilità mi pare assai più realistica della paventata deriva in cui ciascuno si trovasse a leggere solo se stesso).
La peculiarità dell’editoria digitale – gli ebook in tutti i formati, noti e che verranno – sta nella sua capacità di imporre un ripensamento radicale al ruolo e al lavoro dell’editore: non un comparto del lavoro editoriale (i libri che stampiamo, li produciamo anche in ebook), ma la riconsiderazione delle modalità con le quali pensiamo, progettiamo, scriviamo e pubblichiamo i libri. C’è veramente molto che può essere sperimentato, nonostante le arretratezze strutturali e culturali, e ancora troppo scarse in Italia sono le iniziative (per esempio qui, qui e qui).
Esperienze di questo tipo penso abbiano molto da insegnare sulle modalità con le quali restituire centralità al rapporto con i lettori, un rapporto che nell’editoria digitale vede i ruoli confondersi e oltrepassare le logiche tradizionali; logiche che di frequente, negli ultimi anni, mi si sono mostrate attraverso il paradosso di far sentire inadeguata l’editrice agli occhi della lettrice.
La legge Levi sul prezzo dei libri è un esempio recente e calzante, poiché la “difesa” di editori e librai indipendenti, con il tetto del 15% allo sconto, alla fine, la pagherà proprio quel già esiguo manipolo di lettori (circa 3 milioni dai 6 anni in su) che legge almeno un libro al mese. Ha senso imporre un tetto allo sconto sui libri mentre ogni altra scelta di politica culturale si muove in senso inverso e una parte dei big interessati, sappiamo fin d’ora, per consuetudine con gli svariati conflitti d’interesse, troveranno il modo di “eccepire” alla regola? In altri paesi, il prezzo imposto sui libri si accompagna a investimenti a sostegno di istituzioni pubbliche, librerie, editori e biblioteche (da noi l’Aib denuncia, per il 2011, tagli all’acquisto di libri fino al 35%), a serie (cioè selettive, mirate, attente alla qualità) campagne di promozione della lettura tra i giovani e gli adulti: si chiede ai lettori di pagare un costo in nome di un principio perché Stato e attori economici rispettano quel principio e restituiscono quel costo in altra forma. Il circolo è virtuoso, mentre qui rischia di divenire vizioso come altre forme di protezione corporativa delle quali si giovano soprattutto i soliti noti.
Esempi se ne potrebbero fare altri, a partire dall’oligopolio dell’editoria scolastica, talmente smodato da spingere qualche anno fa l’Antitrust ad aprire un’inchiesta per appurare la presenza di accordi di cartello sui prezzi: abbiamo qualcosa da dire, in proposito? Abbiamo da dire qualcosa sul ruolo dell’Aie, in questa come in altre circostanze, giacché l’associazione parla e agisce a nome di tutti gli editori, non essendoci altre voci rappresentative delle imprese editoriali?
A ragionare sulle questioni emerge una complessità irriducibile, che non si può affrontare solo con i buoni propositi dei singoli (mi dedico scrupolosamente alla raccolta differenziata, ma se il sistema di raccolta dei rifiuti è incoerente con i comportamenti virtuosi, campa cavallo…).
Quando, alla fine del 2008, lanciammo un appello per la sopravvivenza della Meltemi molti colleghi ripeterono per l’ennesima volta la tiritera “è il mercato, baby”, aggiungendo poi che tanto il libro “è anticiclico e si avvantaggia delle crisi” e che quindi la splendida macchina del mercato editoriale sarebbe tornata a brillare. Oggi si è allargata la schiera di quanti sono consapevoli che il mercato non è affatto libero (e quand’anche lo fosse non dà risposte adeguate per i beni comuni) e che lo stato depressivo del nostro Paese è ben più strutturale e profondo di quanto possa essere determinato dalle più acute crisi finanziarie.
Stendiamo pure un decalogo di azioni positive (proposte ne sono state fatte diverse, per esempio qui e qui, e altre in passato), ma non perdiamo di vista l’insieme, che chiede una puntuale analisi critica di scelte politiche e comportamenti imprenditoriali, urgenti proposte e corposi interventi di inversione della rotta.
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Di seguito, i link ad alcuni dei post e articoli sull’argomento che tenterò di mantenere aggiornati:
Alcune modeste proposte per le case editrici, a cominciare dalla mia, di Marco Cassini (pubblicato il 14 luglio 2011, poi il 18 su minimaetmoralia);
Per un patto di decrescita nella produzione delle opere culturali, di Simone Barillari (28 giugno 2011, minimaetmoralia);
L’idea della graduale decrescita editoriale, di Antonio Dini (14 luglio 2011, Il Sole 24 Ore);
Nell’era della decrescita anche l’editoria prova ad adeguarsi, di Francesco Longo (14 luglio 2011, il Riformista);
Premi, Grant e cattedre: idee per il mestiere di scrivere in Italia, di Giordano Tedoldi (14 luglio 2011, minimaetmoralia);
Meno libri, di Luca Sofri (15 luglio 2011, Wittgenstein);
Newton Compton ad Affaritaliani.it: “Sì alla ‘decrescita’, ma servono anche i prezzi più bassi…”, di Antonio Prudenzano (18 luglio 2011, Affaritaliani.it)
Meno titoli per tutti, di Loredana Lipperini (18 luglio 2011, la Repubblica);
Decrescita infelice (per il libraio), di Disagiato (18 luglio 2011, Sempre un po’ a disagio);
Libri, la decrescita felice votata dai grandi editori, di Maurizio Bono(19 luglio 2011, la Repubblica);
“Decrescita felice? Da sempre Feltrinelli non inonda il mercato. E i risultati ci danno ragione, anche in un momento difficile come questo” (intervista a Gianluca Foglia), di Antonio Prudenzano (19 luglio 2011, Affaritaliani.it);
Signore e signori: l’Editoria! – Lettera aperta agli editori, di Luigi Bosco (20 luglio 2011, poesia 2.0);
Simone Perotti e la “decrescita felice” nell’editoria…, di Simone Perotti (20 luglio 2011, Affaritaliani);
Giulio Milani (Transeuropa) e la decrescita felice: “Valorizzare le bibliodiversità”, di Giulio Milani (20 luglio 2011, Affaritaliani);
Editori iperproduttivi e anomalie del mercato, di Marco Cassini (21 luglio 2011, la Repubblica) vedi post e commenti qui: Concentrazioni (21 luglio, Lipperatura);
Salva un libro, uccidi un editore, di Ilaria Bussoni (21 luglio 2011, il manifesto);
“Anomalia italiana nell’editoria intervenga l’Antitrust“, di Andrea Cortellessa (21 luglio 2011, la Stampa);
Editoria: decrescita felice e circoli viziosi, di Cristiano Abbadessa(21 luglio 2011, paperblog);
Ecco perché gli editori pubblicano così tanto, di Gian Arturo Ferrari (22 luglio 2011, la Repubblica) vedi post e commenti qui: I sassi del fondo (22 luglio 2011, Lipperatura);
Sommersi dai libri, di Simone Ghelli (22 luglio 2011, Scrittori precari);
Ma è decrescita o trionfo del bestseller?, di Andrea Libero Carbone (23 luglio 2011, il manifesto);
Autori, editori e librai/2, di lucius (24 luglio 2011, Editing and Publishing);
‘Pubblicare meno, pubblicare meglio’… Pubblicare digitale?, di Maria Cecilia Averame (25 luglio 2011, Maria Cecilia Averame, Quinta di copertina);
De Michelis (Marsilio): “Con Amazon noi editori saremo costretti a produrre di più…”, di Antonio Prudenzano (25 luglio 2011, Affaritaliani).
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[Update 1 agosto 2011]Tener dietro al dibattito, intenso nonostante il periodo, non è affare semplice, anche a causa della pubblicazione, in questi stessi giorni, dei manifesti della generazione TQ. Di questi e le relative discussioni (ricchissime, in rete e sulla stampa) non darò conto qui poiché meritano una riflessione autonoma, anche se intrecciano numerose questioni sollevate dal mio post, come pure da molti tra quelli in elenco.
Va segnalata, però, una sorta di biforcazione del dibattito: mentre attorno ai manifesti TQ si sviluppano analisi e discussioni di politica culturale “generale”, gli altri interventi si concentrano prevalentemente sulla legge Levi e i suoi esiti. Questo ramo della discussione è animato dalla contesa (detto molto a spanne) tra coloro che sostengono necessaria una difesa dell’editoria tradizionale indipendente (piccoli editori, librerie, ecc.) attraverso specifiche forme di protezione, e coloro che ritengono tali provvedimenti illiberali e punitivi (nei confronti dei lettori oltre che verso i concorrenti) e auspicano un’accelerazione della transizione al digitale con conseguente adeguamento degli attori in campo.
Oltre ai link segnalati, ulteriori fonti di aggiornamento possono essere reperite su Twitter, seguendo gli hashtag #LeggeLevi, #editoria, #libri.
Le dimissioni di Guaraldi dall’AIE, di Mario Guaraldi (27 luglio 2011, bibienne);
I conti di Sandro Ferri, di Sandro Ferri (28 luglio 2011, Lipperatura);
Interesse pubblico, di Stefano Chiodi (29 luglio 2011, doppiozero);
Compiti delle vacanze, di matteob (29 luglio 2011, bookrepublic);
Vendere libri con l’aiuto dei pirati, di Giuseppe Granieri (30 luglio 2011, La Stampa);
Legge Anti-Amazon: felicità nella AIE e dimissioni, del Duca di Carraronan (31 lug 2011, Baionette librarie);
La difesa del piccolo libraio?, di Massimo Mantellini (31 luglio 2011, manteblog);
Verso un’ecologia della produzione editoriale, di Simone Barillari (31 luglio 2011, il manifesto);
Cultura non a buon mercato, di Manuel Peruzzo (1 agosto 2011, Il Giornale di Letterefilosofia);
DDL Levi “Nuova disciplina sul prezzo dei libri”, Comunicato dell’Associazione Italiana Biblioteche (1 agosto 2011, ora anche su Nazione Indiana);
Come salvare la nave che affonda?, di Martina Testa (2 agosto 2011, Le reti di Dedalus; anche su minimaetmoralia);
Incompetenti, per fortuna, di noiseFromAmeriKa (3 agosto 2011).
Faccia la cortesia, si Levi, di Massimo Mantellini (3 agosto 2011, manteblog).
12 commenti da “Pubblicare meno, pubblicare meglio. Lettera aperta a Marco Cassini”
on luglio 25th, 2011 at 12:16 #
[…] di Simone Barillari al provocatorio Salva un libro Uccidi un editore di Derive e Approdi), il post di Luisa Capelli fa il punto della situazione: riassume, riporta e contestualizza voci e […]
Spesso rischio di passare per un integralista del digitale, ma non è così. Però penso che l’avvento degli ebook prima o poi arriverà anche dalle nostre parti, e mano a mano che il rapporto tra digitale e cartaceo si modificherà, soprattutto nella narrativa di consumo, l’intero scenario dell’editoria dovrà essere ripensato su nuove basi. Se già ora costa meno produrre un libro che fare un’indagine di mercato, il digitale renderà ancora più conveniente buttare un titolo nel mare e stare a vedere se è roba buona. Mi chiedo se il principio “pubblicare meno, pubblicare meglio” si adatti a questo nuovo quadro. Questo non vuol dire sottovalutare il valore del lavoro di quegli editori che preferiscono pubblicare meno libri per avere la possibilità di seguirli e promuoverli nel modo migliore. Solo che mi chiedo in quale misura queste dispute nostrane si coniugheranno con i nuovi scenari. E credo che una riflessione seria non possa prescindere da questi aspetti. Anche per trovare nuove forme di tutela e valorizzazione. I limiti imposti sugli sconti da applicare ai libri, per esempio, salteranno nel momento in cui sui server di Amazon sarà possibile scaricare ebook con il kindle, quando questo sarà distribuito anche in Italia. Già ci sono libri di autori italiani a pochi dollari. Cortellessa dice «Produzione, distribuzione e vendita non possono essere gestite dallo stesso soggetto». Ma è quello che sta facendo Amazon (prova a fermarlo quel Bezos…) e credo che sia più salutare prendere in considerazione questi scenari cercando di fare buona editoria all’interno di essi, appropriandosi di strumenti nuovi e dalle enormi potenzialità, piuttosto che ragionare ancora con schemi di pensiero destinati a essere superati dai fatti in un futuro che forse non è così remoto.
Riccardo, sono d’accordo con te sulla necessità di confrontarsi con il mondo guardando avanti e non rivolti indietro (per dire: io il Kindle ce l’ho e ormai non leggo – e non compro – quasi più libri di carta e tra i lettori forti penso sia un comportamento in rapidissima evoluzione…).
Però non possiamo neppure pensare che il digitale sia, da solo, la risposta a ogni stortura: anche l’editoria digitale, esattamente come quella tradizionale, opera in un mercato che qualcuno si ostina a chiamare libero, ma tale non è affatto.
In ogni caso, varrebbe la pena concentrare le energie su un pensiero che abbracci le prospettive del digitale e non si fermi alle dinamiche dell’editoria nostrana (che sono viziate al quadrato, come è stato evidenziato da più voci).
ho il kindle! ma pochi ebook :S
Luisa, anch’io sono convinto che l’arrivo del digitale non sia la Grande Soluzione a tutto e che porterà con sé nuove storture, le cui avvisaglie sono tra l’altro già visibili all’orizzonte. Ma come scrive De Michelis il problema in Italia non è il fatto che vengono pubblicati troppi libri, semmai il fatto che ne vengono letti pochi. Che oggi i libri restino in vendita pochi mesi prima di essere mandati indietro come resa e finire al macero è un problema, sono d’accordo. Ma non credo che la soluzione migliore sia pubblicarne meno. Preferisco pensare a come venderne e farne leggere di più. E in questo senso l’editoria digitale può aiutare, dato che gli ebook possono essere venduti a prezzi molto più bassi. E questo aiuta, soprattutto in tempi di vacche magre. Non è una soluzione a tutti i mali, per carità, ma già non avresti più nemmeno il problema della vita troppo breve dei libri. Niente più rese. Per questo riterrei più utile per un gruppo di scrittori sostenere iniziative in questa direzione, magari promuovendo la lettura digitale, invece di andare in direzione opposta e pensare a come ridurre il numero delle pubblicazioni in un’era in cui gli editori al contrario dovranno pubblicare di più per mantenere il proprio ruolo e non cederlo alle autopubblicazioni o ai grandi distributori. Insomma, il problema c’è. Ma la soluzione proposta temo sia sballata dall’inizio alla fine.
@cooksappe
In italiano l’offerta di ebook è ancora minima, ma sta rapidamente aumentando. Probabilmente li conoscerai già, ma ti consiglio (oltre ai siti dove puoi trovare ebook gratuiti come GoogleLibri e Liberliber) Simplicissimus e Bookrepublic per gli acquisti. E l’uso di un programma come Calibre che ti consenta di convertire i file in .mobi. Buona lettura!
@Riccardo
Aumentare il numero dei lettori è il grande problema, siamo tutti d’accordo. Ma penso che anche la qualità della proposta abbia un suo ruolo nell’avvicinare le persone ai libri (in qualsiasi formato): di per sé la quantità non determina qualità (gli effetti sono sotto gli occhi di tutti) e non riesce nemmeno ad ampliare il “pubblico”. Un tema urgente su cui confrontarsi e sviluppare iniziative potrebbe riguardare proprio l’educazione (o rieducazione) al piacere della lettura.
Quanto scrivi sul digitale mi trova d’accordo, l’ho già detto, ma gli editori (in Italia, per il momento) non ne vedono le potenzialità (per valori di mercato) e ne temono le conseguenze (come minaccia al loro ruolo).
La qualità della proposta ha senza dubbio un ruolo nell’avvicinare le persone ai libri, come sottolinei “in qualsiasi formato”. Il problema è proprio qui: non credo che la “decrescita” porti con sé un automatico miglioramento qualitativo. Sulla necessità di una rieducazione al piacere della lettura mi trovi invece d’accordo al mille per cento. E considerando che la fascia anagrafica dei lettori forti è ormai sopra i trenta, inizierei dal riconsiderare il ruolo della scuola. Non vorrei intrigarmi in discorsi più grandi di me, ma per quello che ricordo dei miei anni di liceo la maggior parte degli stimoli alla lettura (con qualche significativa eccezione), che hanno poi fatto di me un “lettore forte”, sono arrivati dall’esterno. Ribadisco che non sono un esaltato del digitale, ma ho letto che in America la solita Amazon sta predisponendo il prestito dei libri scolastici sul kindle. Un risparmio di soldi per le famiglie e uno strumento che serve per leggere nelle mani dei ragazzi, che tra l’altro si risparmiano chili di manuali costosi di dubbia longevità. Questa mi sembra un’ottima iniziativa.
Solo una precisazione: sono convinto che se un editore che butta sul mercato venti titoli, con un pessimo editing (quando c’è), senza poi curarne la promozione in modo adeguato perché è una mole di lavoro sproporzionata alle sue capacità, riconsiderasse il tutto limitandosi a cinque titoli, lavorandoci come dio comanda, coinvolgendo l’autore e facendolo crescere attraverso un dialogo strutturato, alla fine metterebbe sul mercato cinque titoli migliori degli altri venti. E più o meno mi sembra il senso della proposta di Cassini. Diciamo che il suo lavoro editoriale alla fine sarebbe fatto meglio. Ridotto, ma fatto meglio. Ecco, in quel “ridotto” io non ci vedo una vittoria. A parte il problema dei colossi editoriali che guadagnerebbero ancora spazi, a parte il rischio dell’autopubblicazione digitale di cui parla De Michelis, la vedo comunque come una strategia di arroccamento che non aiuta ad aumentare il numero dei lettori, ammesso che questo sia universalmente accettato come Il Problema. Soprattutto in un’epoca in cui (e rifinisco sempre lì) il digitale potrebbe abbattere i costi di produzione e consentire di riversare quei costi sul lavoro editoriale, sugli editor, per produrre più libri con più qualità. Ecco, ora spero sia più chiaro anche il modestissimo punto di vista. Grazie.
on luglio 29th, 2011 at 17:14 #
[…] con il 50% di sconto su tutto”), e ripassando ogni tanto da Luisa Capelli, che ha promesso di raccogliere i link sul tema, o dalla sfliza di luoghi dove la gente sta iniziando a commentare. Mescolare piano […]
Cara Luisa, in poche righe sei riuscita a sintetizzare le mie stesse perplessità attorno al tema della decrescita: a me pare, avendo seguito il dibattito nel corso dell’ultimo anno/anno e mezzo, che chi parla di qualità abbia già in mente certi editori e certi autori, e che su quelli intenda stabilire dei parametri di giudizio (la qual cosa mi fa orrore). Mi chiedo: ma con tutto quello che si pubblica, siamo sicuri che chi parla di scarsa qualità e di problemi di distribuzione, conosca davvero quello che esce dal sottobosco della piccola editoria? Forse dovremmo intenderci proprio su questo termine, ripartire dalle definizioni primarie, ancor prima di buttarsi nei problemi più generali…
Caro Simone, grazie per l’apprezzamento.
Ho l’impressione che il dibattito (provocatoriamente ma giustamente) riavviato da Marco Cassini vada sottratto alle semplificazioni che, oltre a distorcere la natura dei problemi, ostacolano serie analisi e impediscono l’individuazione di possibili soluzioni.
Sul tema quantità vs qualità, per esempio, già i soli commenti qui di @Riccardo e tuo si muovono in direzione opposta: da una parte la quantità viene vista come una risorsa (comunque, e a maggior ragione in ambito digitale); dall’altra, la proliferazione dell’offerta viene letta come possibile sparizione nell’indistinto.
Da parte mia, sono sempre più convinta che non ci siano valide alternative all’affrontare analisi e proposte in un’ottica di sistema, per questo valuto positivamente il taglio politico che è stato dato ai documenti TQ e penso che le buone pratiche moltiplichino le loro potenzialità quando riescono a riflettere sul mondo e non agiscono solo a livello della risposta individuale.
@Riccardo (scusami per il ritardo del commento), su scuola e prestito degli ebook mi trovi d’accordo (per quanto riguarda me, adotto per lo più testi reperibili on line in creative commons, liberi, gratuiti e leggibili su qualsiasi supporto).
Io ho solo il kindle