categorie: diventare cittadini
Anche se pare che un quotidiano locale titolasse proprio così qualche mese fa: “Gli africani hanno trovato qui il loro eldorado“.
Forse, piuttosto che inseguire le penose diatribe dei vari Rutelli, Sartori e compagnia, seppur con nobili ed efficaci intenti (come avviene qui), varrebbe la pena andarsi tutti a leggere (o rileggere) Frantz Fanon e Aimé Césaire, che reclamava la propria e altrui parola per quei
“milioni di uomini ai quali sono stati sapientemente inculcati la paura, il complesso di inferiorità, l’ansia, la sottomissione, la disperazione, il servilismo” (Discorso sul colonialismo).
E Intanto, potremmo esercitarci almeno nelle dichiarazioni di solidarietà, come ha fatto oggi Sandro Dazieri, anziché accontentarci delle comode e interessate semplificazioni del ministro Maroni.
Lo conosciamo tutti, l’abbiamo studiato alla noia, ma l’abbiamo troppo in fretta dimenticato.
Qui ad Atene noi facciamo così (Pericle – Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.)
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita a una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Parole in libertà: Tremonti dice oggi che il posto fisso è alla base della società.
Sorvoliamo sul fatto che per anni ha sostenuto il contrario, inneggiando alla flessibilità come sistema per premiare merito ed efficienza.
Sorvoliamo sul fatto che un altro ministro del suo Governo pronuncia quotidianamente anatemi sul posto fisso.
Ma qualche esempio europeo il nostro creativo ministro potrebbe anche studiarselo. Scoprirebbe che per dare stabilità e sicurezza contano assai più gli ammortizzatori sociali e un sistema efficace di servizi e supporti alla disoccupazione, alla formazione continua e alla riqualificazione. Quell’insieme di garanzie che vanno sotto il nome di stato sociale e che ha tra i suoi punti essenziali il riconoscimento del salario di cittadinanza.
Un esempio per tutti, la Danimarca.
Qui il tasso di disoccupazione è sotto al 3%, tra i più bassi d’Europa. Ma quasi un terzo dei lavoratori cambia impiego ogni anno (mica pochi: circa 800mila persone su un totale di 2 milioni e 800mila). Come? Con un sistema di riqualificazione e sostegno che consente non solo di trovare un altro lavoro, ma di trovarlo migliore del precedente, e con un tempo medio per rientrare nel mondo del lavoro di circa 17 settimane. Con un assegno di disoccupazione pari all’80% dell’ultimo salario, che può essere riconfermato per quattro anni, e un presalario per gli universitari maggiore ai 600 euro.
Non è fantapolitica, signor Ministro; e non è demagogia, come invece lo sono le sue periodiche trovate autopromozionali.
Anche io sono indignata dal modo in cui il presidente del Consiglio in carica offende quotidianamente le donne: la loro intelligenza, il loro talento, il loro corpo. Vorrei che Silvio Berlusconi si dimettesse per molte ragioni, non ultima la sua personale responsabilità nell’avere, attraverso il controllo dei media, contribuito a diffondere linguaggio e sentimenti umilianti, sprezzanti e volgari per tutti, non solo per le donne.
Proprio per questo non riesco a firmare l’ennesimo appello lanciato, attraverso le pagine della Repubblica, contro la “cretinizzazione delle donne, della democrazia, della politica” di cui il premier è massima espressione.
Espressione massima, non solitaria. Poiché noi donne, nel nostro Paese, subiamo ogni giorno, e negli ultimi decenni in modo più scoperto e violento, quelle umiliazioni e quelle offese.
Le subiamo nel mondo del lavoro, discriminate e costrette ad accettare trattamenti economici e di carriera senza motivo inferiori a quelli degli uomini.
Le subiamo nel mondo dello studio e della ricerca, dove le posizioni e i riconoscimenti più elevati sono quasi esclusivo appannaggio degli uomini.
Le subiamo nelle famiglie, dove avvengono il maggior numero di violenze contro le donne (violenze psicologiche, oltre che fisiche).
Le subiamo nel confronto con l’istituzione sanitaria, quando il diritto all’autodeterminazione in caso di aborto e di scelte riproduttive ci viene reso sempre più difficile se non impossibile.
Le subiamo nella vita politica, dove la presenza delle donne è invocata a parole ma costantemente ostacolata nei fatti.
Infine, le subiamo ogni minuto nelle trasmissioni televisive, nei manifesti pubblicitari, sulle pagine dei giornali, con i nostri corpi denudati e sezionati come carne da macello.
Silvio Berlusconi non è che un importante ispiratore, nonché lieto utilizzatore, di questo scempio. Mandare via lui, fermarlo, come scrivono le autrici dell’appello, non ci riporterà d’un tratto a condizioni di civiltà e libertà.
Allora vorrei chiedere, anzitutto ai promotori degli appelli di questi giorni, che si impegnino da subito attivamente a rappresentare l’impegno, il talento, l’immagine delle “donne della realtà”, e che questo compito non sia affidato solo alle donne.
Come scriveva quasi un secolo fa Virginia Woolf ne Le tre ghinee: “il modo migliore per aiutarvi (…) non è di ripetere le vostre parole e seguire i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi. (…) il fine è il medesimo: affermare il diritto di tutti – di tutti gli uomini e di tutte le donne – a vedere rispettati nella propria persona i grandi principi della giustizia, dell’uguaglianza e della libertà”.
Quando nelle copertine, sui manifesti e nei talk show inizieranno a comparire le precarie, le operaie, le insegnanti, le lesbiche e le madri, anche quelle brutte, basse e non più giovani, allora manderemo davvero a casa Berlusconi, perché avremo sconfitto le idee che lui rappresenta.
Ho scritto il 6 maggio il mio orientamento in merito al voto per il referendum e riassumo qui la mia posizione.
I tre quesiti referendari riguardano la legge elettorale vigente: i primi due introducono il premio di maggioranza alla lista più votata e la soglia di sbarramento al 4% per l’elezione della Camera e all’8% per il Senato; il terzo prevede l’abrogazione delle candidature multiple (uno stesso candidato, cioè, non potrebbe più presentarsi in diverse circoscrizioni elettorali). Le tre domande poste agli elettori non sono, in effetti, abrogative della legge attuale: esse servirebbero a “ritoccare” la legge “porcellum” senza modificarne gli aspetti sostanziali.
Al terzo quesito (scheda verde) voterò SÌ: che i candidati siano solo quelli che effettivamente potranno rappresentarci se eletti, non specchietti-acchiappa-elettori o coloro che, sulla base delle rinunce decise dalle burocrazie di partito, sono da esse più facilmente ricattabili.
Sui primi due quesiti (scheda viola e scheda beige) mi asterrò, non ritirando le schede al seggio: il mancato raggiungimento del quorum manterrà la situazione inalterata e i partiti dovranno finalmente procedere all’approvazione di un nuovo pacchetto normativo che elimini l’attuale “porcellum” e dia al nostro Paese una legge elettorale degna di questo nome.
“Oil”
Director: Massimiliano Mazzotta
Assist. Director: Monica Assari
Director of Photography: Francesco and Massimiliano Mazzotta
Editor: Massimiliano Mazzotta
Camera: Francesco and Massimiliano Mazzotta, Massimiliano Sulis
Music: fotokrafie, JeD, Johnny Melfi, Riccardo Albuzzi, and Unspoken
Voice: Mauro Negri
Sound Effects: fotokrafie.com
Sarroch (Cagliari) (August/November 2007, March/July 2008)
Featuring: the citizens of Sarroch, representatives of various institutions, directors of the SARAS group
Production: Massimiliano Mazzotta
Length: DV_75min