categorie: diventare cittadini
Il 21 giugno siamo chiamati a pronunciarci su tre quesiti referendari riguardanti la legge elettorale vigente: i primi due quesiti riguardano il premio di maggioranza alla lista più votata e la soglia di sbarramento al 4% per l’elezione della Camera e all’8% per il Senato; il terzo prevede l’abrogazione delle candidature multiple (uno stesso candidato, cioè, non potrebbe più presentarsi in diverse circoscrizioni elettorali).
Le tre domande poste agli elettori non sono, in effetti, abrogative della legge attuale; piuttosto, esse servirebbero a “ritoccare” la legge “porcellum” senza modificarne gli aspetti sostanziali. Al terzo quesito sarebbe giusto votare un bel SÌ: che si candidino solo coloro disposti effettivamente a rappresentarci se eletti, e non gli specchietti-acchiappa-elettori. Ma vediamo gli altri due.
Sui primi due quesiti, le alternative possibili sono tre:
1. Vince il NO, la legge rimane inalterata e rafforzata da un voto popolare che potrebbe essere utilizzato per sostenerla.
2. Vince il SÌ, la legge viene modificata nella direzione prevista dai quesiti e il sistema politico si trasforma da bipolare a bipartitico, grazie al premio che assegnerebbe la maggioranza assoluta dei seggi alla lista di maggioranza relativa.
3. La situazione rimane inalterata per mancato raggiungimento del quorum al referendum e i partiti continuano a sentirsi vincolati all’approvazione di una nuova legge che elimini l’attuale “porcellum” e dia al nostro Paese una legge elettorale degna di questo nome.
Entrambe le prime due alternative, alla luce dei pronunciamenti del Presidente del Consiglio, ci consegnerebbero una legge resa più forte dal voto popolare e che perciò difficilmente verrebbe modificata (senza contare che, se si fosse voluto farlo, ciò sarebbe avvenuto da tempo).
A maggior ragione oggi ritengo che sbagli chi si ostina a scegliere di votare SÌ: il successo di questa posizione consegnerebbe a Berlusconi la ragione per andare a elezioni anticipate con la nuova legge elettorale, il Pdl otterrebbe una maggioranza schiacciante e il Pd resterebbe superstite indebolito di uno schieramento desertificato.
Sono da sempre dell’idea che su materie come la legge elettorale non si debba ricorrere al referendum. Eleggiamo a tale scopo i nostri rappresentanti in Parlamento: facciano il loro dovere, sappiano trovare gli accordi necessari a legiferare rispettando la volontà degli elettori.
Perciò sostengo che l’astensione a questo referendum sia la più coerente scelta di partecipazione attiva alla vita democratica del nostro Paese, come spiega estesamente qui Pancho Pardi.
E per chi non vuole rinunciare alla possibilità di esprimere il suo voto sul terzo quesito, o rifiuta l’idea di non recarsi al seggio, esiste sempre la possibilità di riconsegnare la scheda non votata al presidente di seggio (eventualmente facendo verbalizzare la propria posizione).
Ieri è stata una pessima giornata.
Università suicida
Il Consiglio di Facoltà dell’Università di Tor Vergata ha deciso di chiudere il Corso di Laurea Magistrale dove insegno. Brutto il voto, ma brutta soprattutto la modalità con la quale si è giunti a tale decisione: nessuna analisi dei dati e del lavoro svolto dal nostro e dagli altri corsi, un accordo evidentemente preesistente che ha condotto al voto quasi unanime del CdF (solo 16 voti contrari: 4 docenti e tutti i rappresentanti degli studenti), l’assoluta mancanza di considerazione per gli studenti e le loro opinioni (qui la causa su Facebbok). Il 15 la decisione diverrà operativa con l’invio al CUN dell’offerta formativa della Facoltà: fino a quel momento è ancora possibile sviluppare tutte le azioni per evitare che tale decisione scellerata divenga esecutiva.
Bagni atomici
Dal Senato, intanto, via libera per il ritorno al nucleare in Italia. Con 142 sì e 105 no (sì di Pdl e Udc, no di Pd e Idv) viene data al governo la delega per localizzare i luoghi di costruzione degli impianti, lo stoccaggio del combustibile, il deposito dei rifiuti radioattivi. Ma dove saranno costruite le famigerate centrali? Probabilmente vicino al mare, là dove c’è acqua sufficiente per gli impianti di raffreddamento.
Rei di fuggire dalla miseria
Al ddl sulla “sicurezza” manca solo il voto conclusivo che arriverà con la fiducia di domani. Ieri il primo sì a un provvedimento che ruota attorno alla filosofia perversa di considerare automaticamente responsabile di un reato chiunque (anche un neonato) sia entrato, privo di permesso di soggiorno, in territorio italiano. L’Onu ci attacca e l’Alto commissariato per i rifugiati stigmatizza il governo italiano, le violazioni della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea si moltiplicano. I singoli provvedimenti (ronde, postini-spia, schedature per homeless, detenzione nei cies fino a sei mesi, ecc.) rappresentano un elenco ignobile, ma è il pensiero ispiratore che confligge con qualsiasi idea di umanità e mi fa vergognare di essere italiana.
Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha dichiarato che chiederà al governo di porre la questione di fiducia al disegno di legge sulla sicurezza, se non avrà la certezza che questo verrà approvato dal voto compatto della maggioranza.
Non vuole correre rischi, il ministro dell’Interno, e pretende che i punti più contestati del decreto, nonostante la doppia bocciatura di Camera e Senato, una volta rientrati dalla finestra del disegno di legge che andrà in discussione alla Camera, non subiscano la sorte già vissuta dal decreto.
Le questioni contestate, anche all’interno della maggioranza, sono quelle relative all’istituzione delle ronde e al prolungamento fino a sei mesi della permanenza nei Cei (Centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati).
Ma dal disegno di legge non è ancora certo che scompaiano l’obbligo di denuncia dei clandestini da parte dei medici e la possibilità di “oscurare” i siti web “in caso di accertata apologia o di incitamento” al reato; mentre vi permangono di sicuro altre norme profondamente lesive dei diritti umani, come il divieto di registrare i bambini nati da immigrati clandestini.
Un disegno di legge, se approvato, che violerà apertamente la nostra Costituzione e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, laddove queste vietano qualsiasi forma di discriminazione fondata sul colore della pelle, l’origine etnica o sociale, la lingua e la religione.
Una legge che ci spingerà ancora più in alto nella orrenda classifica degli Stati Europei per violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Classifica che nel 2008 ha visto l’Italia al secondo posto, dopo la Romania: per tali violazioni abbiamo pagato quasi 10 milioni di euro, un quinto di quanto pagato complessivamente dai 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa (fonte: Emigrazione notizie).
Perciò questa mattina sarò tra coloro che parteciperanno al presidio davanti alla Camera dei deputati per manifestare il mio dissenso.
Rimanevo ogni volta stupita dalla mitezza di mio padre quando mi raccontava le ragioni per le quali era divenuto antifascista e poi era entrato nella Resistenza. “Sai – diceva – i fascisti maltrattavano le ragazze, la loro violenza nei confronti delle donne era per me insopportabile, più delle sopraffazioni alle quali tutti eravamo sottoposti”. Così è diventato partigiano, poi comandante della Gap Irma Bandiera Garibaldi che guidò, insieme alla 7a Gap, la battaglia di Porta Lame, decisiva per la liberazione di Bologna. Nessuna retorica, alcun ideologismo e men che meno eroismo: soltanto la ribellione di un giovane operaio metalmeccanico con la seconda elementare che non poteva tollerare prepotenze e abusi sulle ragazze.
Ricordare e partecipare alle celebrazioni per il 25 aprile può costituire per qualcuno un espediente comunicativo; per me, e per tutti quanti conservano memoria del dolore seminato nel nostro Paese dal fascismo e dal nazismo, continua ad avere un significato speciale.
Non fu una guerra civile, quella che si combatté in Italia in quegli anni, ma la reazione di un popolo all’occupazione, alle deportazioni, agli eccidi: la Liberazione dal regime e l’inizio del cammino verso la costituzione della Repubblica.
Giacomo Di Girolamo, scatenando il putiferio dentro Facebook e non solo, mette in giro un appello dal titolo eloquente: “Ma io per il terremoto non do nemmeno un euro”.
Adriano Sofri, dalle colonne di Repubblica, così conclude il suo commento: “Gli italiani che hanno mandato il loro obolo ai loro vicini d’Abruzzo si sono magari, anche, lavati a buon prezzo la coscienza: ma certamente, la gran maggioranza di loro, dunque indipendentemente dal sentimento politico, si sono fatti il regalo di aiutare i loro simili di cui era così facile vedere e immaginare il dolore”.
Penso che ogni gesto di solidarietà sia da salvaguardare come un dono prezioso, per il bene che produce anzitutto in chi lo compie.
Ma è pur vero che la confusione sotto il cielo è grande, se per primo il presidente del Consiglio sovrappone (o elude) le responsabilità politiche con i gesti di carità. Impegnare il governo in aiuti e ricostruzione e sollecitare le indagini sulla malaedilizia non è come ospitare i terremotati in “tre delle sue case” o regalare dentiere.
L’indignata e provocatoria lettera di Di Girolamo, che consiglio di leggere integralmente qui (grazie a Vittorio Zambardino) dovrebbe farci riflettere, esigere che i diritti vengano rispettati, e poi lasciarci liberi di aiutare ed essere aiutati…