Da ultimo ci si è messo il presidente del Senato: “Facebook è peggio che negli anni ’70”, uscendo da un Consiglio dei ministri nel quale si è solo rinviato un provvedimento di legge che in rete dovrebbe “sanzionare chi supera determinati limiti”.
La lista è lunga, e la “Carta dei cento per il libero WiFi” che abbiamo firmato neppure un mese fa, invocando che non fosse prorogato anche quest’anno il decreto Pisanu, sembra lontanissima dalla tempesta che tormenta la rete in questi giorni.
Ma non è che prima si stesse meglio.
Gli 800 milioni destinati alla banda larga desparecidi, i disegni di legge della maggioranza che giacciono in Parlamento e che mirano tutti a ridurre e controllare le libertà di espressione in Internet (Carlucci contro l’anonimato, Lussana per il “diritto all’oblio”, Pecorella e Costa sull’estensione ai blogger delle norme sulla stampa, Barbareschi con l’obbligo per i provider di controllare la circolazione dei contenuti), lo sventato emendamento D’Alia contenuto nel pacchetto sicurezza e l’obbligo di rettifica dell’incostituzionale decreto Alfano…
Tutti provvedimenti (qui lo stato dettagliato dell’arte) animati dall’ansia della sorveglianza e della punizione verso un luogo nel quale le idee (anche quelle strampalate o deprecabili) circolano in libertà.
Abbiamo pubblicamente iniziato il 14 luglio (in piazza, perché qui e altrove lo facciamo da un pezzo) e non ci stancheremo mai di ripeterlo: per la rete non servono “leggi speciali”, occorrono invece riforme che ne recepiscano la potenzialità innovatrice e ne garantiscano il libero dispiegarsi.
Internet è la nostra casa, la nostra biblioteca, il nostro bar e la nostra piazza: non vi consentiremo di metterle i lucchetti.
Per questo il 23 dicembre vi chiediamo di trovarci a Roma, in Piazza del Popolo, dalle 17.00 alle 19.00 e di condividere l’appello lanciato da Diritto alla rete e dall’Istituto per le Politiche dell’Innovazione insieme ad Alessandro Gilioli, Guido Scorza, il gruppo del Popolo Viola con Francesco Nizzoli e Emanuele Toscano, Pippo Civati, Gianfranco Mascia, Claudio Messora, Enzo Di Frenna, la sottoscritta e molti altri.
Aderite e condividete la pagina su Facebook, Libera rete in libero Stato.
Il testo del manifesto dell’iniziativa, in italiano e in inglese:
Libera Rete in libero Stato
Internet è una piazza libera. Una sterminata piazza in cui milioni di persone si parlano, si confrontano e crescono.
Internet è libertà: luogo aperto del futuro, della comunicazione orizzontale, della biodiversità culturale e dell’innovazione economica.
Noi non accettiamo che gli spazi di pluralismo e di libertà in Italia siano ristretti anziché allargati.
Non lo accettiamo perché crediamo che in una società libera l’apertura agli altri e alle opinioni di tutti sia un valore assoluto.
Non lo accettiamo perché siamo disposti a pagare per questo valore assoluto anche il prezzo delle opinioni più ripugnanti.
Non lo accettiamo perché un Paese governato da un tycoon della televisione ha più bisogno degli altri del contrappeso di una Rete libera e forte.
Non lo accettiamo perché Internet è un diritto umano.
Libera Rete in libero Stato.
“Sono sempre stato uno strenuo sostenitore di Internet e dell’assoluta mancanza di censura” (Barack Obama, discorso agli universitari cinesi, Shangai, 16 novembre 2009).
Free Internet in a free Country – Free Internet in a free Italy
The internet is a free space.
It is an endless place in which millions communicate, exchange ideas and grow.
The internet is freedom: it is the open space of the future, of horizontal communication, cultural diversity and economic innovation.
We cannot accept that pluralism and freedom in Italy be limited instead of broadened.
We cannot accept it because we believe that, in a free society, openess to others and to their ideas is a value of absolute importance.
We cannot accept it and are prepared to listen to the most repugnant of views.
We cannot accept it because Italy, a country ruled by a television tycoon, needs more than other nations the counterweight of a free and strong Network.
We cannot accept it because the internet is a human right.
Free Internet in a free Country
Free Internet in a free Italy
Arrivederci al 23!
Numerosi esponenti del governo, durante la giornata di ieri, hanno invocato misure di controllo e repressione della rete:
“valutiamo di oscurare i siti internet che incitano alla violenza” (ministro Roberto Maroni), “la polizia postale controllerà i siti internet in cui si esalta l’aggressione di Massimo Tartaglia al premier per cercare di risalire agli eventuali responsabili della ‘campagna d’odio’ che corre sul web” (sottosegretario Mantovano), “oscurare i siti in cui si inneggia alla vigliacca aggressione subita dal presidente Silvio Berlusconi” (ministro Andrea Ronchi), “i social network (…) si sono trasformati in pericolose armi in mano a pochi delinquenti che, sfruttando l’anonimato, incitano alla violenza, all’odio sociale, alla sovversione” (parlamentare pdl Gabriella Carlucci).
Un al lupo al lupo dato in pasto alle agenzie e ai massimi organi di stampa, mentre centinaia di migliaia utenti di Facebook si trovavano iscritti loro malgrado, e senza avere ricevuto alcuna comunicazione, a gruppi la cui “ragione sociale” era stata trasformata nottetempo.
Eclatante il caso del gruppo “Solidarietà alle vittime del terremoto in Abruzzo”, cui erano iscritti circa due milioni di persone, che ha mutato il nome in “Solidarietà a Silvio Berlusconi”: furto di identità, utilizzazione illegittima delle opinioni politiche, un vero e proprio attentato contro la personalità di milioni di cittadini che si sono scoperti sostenitori del premier a propria insaputa.
Guido Scorza ne ha scritto puntualmente, e al suo post rinvio per un approfondimento, oltre che per condividere le istruzioni su come “procedere concretamente per reagire in relazione alla vicenda” (Scorza è avvocato e si occupa da anni di diritto della rete).
C‘è da augurarsi che ministri e parlamentari, nonché il Garante per la privacy e l’autorità giudiziaria, orientino la loro solerzia nel difendere i tanti cittadini truffati domenica notte, piuttosto che affannarsi a individuare sistemi per ridurre le libertà di espressione nella rete.
Se mai potevamo avere dei dubbi sull’uso politico che sarebbe stato fatto del gesto del folle Tartaglia, ecco qua la dichiarazione del sottosegretario Alfredo Mantovano a proposito dei controlli che scatteranno sulla Rete:
“La nostra polizia postale e le altre forze di polizia, con tutti i limiti che un intervento di questo tipo comporta, sia tecnici, sia di normativa, cercheranno di capire e di individuare chi ha lanciato messaggi di minaccia o di odio”.
Chiunque abbia rifiutato di piegarsi all’informazione regolamentata, alla giustizia compiacente, all’opposizione consociativa è avvertito.
Dopo l’ennesimo intervento in cui ha insultato ancora una volta magistrati, giornalisti e corte costituzionale, oltre a chiunque si opponga al suo governo, il cavaliere è stato aggredito da uno psicolabile.
C’era da aspettarsi che accadesse, ma l’unico a cui può giovare un atto di tale idiozia è proprio Berlusconi.
Prepariamoci all’onda mediatica di riprovazione e disprezzo verso chiunque abbia mai pronunciato una parola contro il berlusconismo.
Ma prepariamoci con il sorriso, come abbiamo fatto il 5 dicembre con le nostre sciarpe viola.
Sorridendo, poiché per noi è divertente e bello immaginare di vivere in un Paese con un’informazione libera, con una giustizia e un parlamento che finalmente facciano il proprio dovere senza ostacoli, con un governo che risponda alle emergenze che impediscono un’esistenza serena a tanti cittadini italiani.
Siamo preoccupati, offesi e stanchi, ma non siamo violenti e sappiamo sorridere, poiché gli unici interessati a seminare odio sono coloro che difendono privilegi e impunità cui non possono permettersi di rinunciare.
Alessandro Gilioli con Guido Scorza, Sergio Maistrello e Raffaele Bianco hanno messo insieme un gruppo di imprenditori, politici, manager, blogger, giuristi e altri, concordando il testo di una Carta per la liberazione dell’Wi-Fi italiano, soffocato dal decreto Pisanu.
Ho sottoscritto la Carta, e ne continuo a promuovere la diffusione, sintetizzando le ragioni che trovate estesamente raccontate qui.
Il 31 dicembre 2009 sono in scadenza alcune disposizioni del “decreto Pisanu” che vincolano la concessione dell’accesso a Internet nei pubblici esercizi a una serie di obblighi quali la richiesta di una speciale licenza al questore e l’obbligo, per i gestori di tutti gli esercizi pubblici che offrono accesso a Internet, all’identificazione degli utenti tramite documento d’identità.
Queste norme furono introdotte per decreto pochi giorni dopo gli attentati terroristici di Londra del luglio 2005: dovevano essere provvisorie, sono scadute due volte (fine 2007 e fine 2008) ma per due volte sono state prorogate. Sono norme che non hanno corrispettivo in nessun Paese democratico e tra i loro effetti nefasti c’è il freno alla diffusione di Internet via Wi-Fi, cioè senza fili. Gli oneri causati dall’obbligo di identificare i fruitori del servizio sono infatti un gigantesco disincentivo a creare reti wireless aperte.
Questa legge ha assestato un colpo durissimo alle potenzialità di crescita tecnologica e culturale di un paese già in ritardo su tutti gli indici internazionali della connettività a Internet, muovendosi in direzione opposta al movimento di apertura della Rete, grazie alle tecnologie wireless e a un’idea della libertà dell’accesso condiviso da privati, istituzioni e locali pubblici.
Questa politica rappresenta una limitazione nei fatti al diritto dei cittadini all’accesso alla Rete e un ostacolo per la crescita civile, democratica, scientifica ed economica del nostro Paese.
Per questo, in vista della nuova scadenza del 31 dicembre, chiediamo al governo e al parlamento di non prorogare l’efficacia delle disposizioni del Decreto Pisanu in scadenza e di abrogare la previsione relativa all’obbligo di identificazione degli utenti contribuendo così a promuovere la diffusione della Rete senza fili per tutti.
Da qualche giorno, da qualche parte, si discute della data migliore per le elezioni che dovranno rinnovare il Consiglio regionale del Lazio, sciolto il 28 ottobre scorso.
Pare che l’orientamento dei partiti sia quello di confermare la data dell’appuntamento elettorale, fissato in precedenza a domenica 28 e lunedì 29 marzo 2010 per tutte le consultazioni amministrative (Lazio incluso, prima che esplodesse lo scandalo Marrazzo).
Ma per rispondere alla domanda-titolo del post, vediamo cosa stabilisce la legge elettorale.
La legge Regionale n. 2 del 2005, all’articolo 5 recita: “Nei casi di scioglimento del Consiglio regionale, previsti dall’articolo 19, comma 4, dello Statuto, si procede all’indizione delle nuove elezioni del Consiglio e del Presidente della Regione entro tre mesi“. Cioè, il Consiglio deve darsi il tempo di sistemare le faccende urgenti e poi ridare la parola ai cittadini.
La legge n. 108 del 1968, all’articolo 3, comma 6, stabilisce inoltre che “I sindaci dei comuni della regione ne danno notizia agli elettori con apposito manifesto che deve essere affisso quarantacinque giorni prima della data stabilita per le elezioni”. 45 giorni che occorrono allo svolgimento della campagna elettorale.
Dalla data di scioglimento del Consiglio al giorno delle elezioni devono quindi intercorrere al massimo 90 + 45 = 135 giorni. Così arriviamo al 12 marzo: la domenica e il lunedì precedenti rappresentano la data ultima per andare a votare: 7 e 8 marzo.
L’opinione generale, a questo punto, sostiene che i 20 giorni frapposti tra il 7/8 e il 28/29 non giustificano la doppia tornata elettorale e che dunque si deve trovare un accordo politico in seno al Consiglio per rinviare anche le regionali al 28 marzo. A votare due volte, è bene ricordarlo, sarebbero circa venti Comuni e la Provincia di Viterbo (in totale, circa 400mila elettori, l’8% sui 4 milioni e 600mila dell’intera regione).
Effettivamente, se l’alternativa fosse tra il 7 e il 28 marzo si può essere d’accordo sul rinvio, pur essendoci il rischio di eventuali ricorsi se il Consiglio, essendo sciolto, non fosse legittimato a deliberare lo slittamento di data. Ma l’alternativa (come hanno affermato, a onor del vero, alcuni consiglieri regionali del pdl) è tra il 7 marzo e una data molto precedente. Per la legge del 2005, il termine dei tre mesi è un termine entro il quale devono essere indette le elezioni, che dunque avrebbero potuto essere bandite anche lo stesso giorno di scioglimento del Consiglio, mandandoci alle urne già a metà gennaio.
Cosa può o dovrebbe accadere di importante in questi tre mesi per non accelerare la data delle elezioni? Ci sono atti o iniziative che il Consiglio o la Giunta possono assumere per meglio governare la Regione? Possono essere sospese decisioni per avviare approfondimenti e supplementi di indagine prima di procedere alla loro attuazione? Nulla di tutto questo.
Uno dei pochi che potrà assumere delle decisioni è il Commissario alla sanità Elio Guzzanti (l’ottantanovenne professore ed ex ministro, nominato in sostituzione dello stesso Marrazzo); ma vorrà e potrà farlo, senza poter contare sul sostegno della Giunta nelle sue piene funzioni? Di lavoro ne avrebbe, a partire dalla conferma (o revisione) dei decreti emessi da Marrazzo l’estate scorsa, che prevedono la drastica riduzione delle prestazioni sanitarie. Una riduzione che taglierebbe al gruppo San Raffaele della famiglia Angelucci (il deputato pdl Tonino e il figlio Giampaolo, editore di Libero, Riformista e il Tempo) 35 milioni annui di introiti; e che ha provocato la reazione del gruppo stesso: avvio di 500 licenziamenti e messa in vendita del ramo sanitario del gruppo.
Insomma, sono tre mesi durante i quali si governerà poco e l’ordinaria amministrazione (a partire dal bilancio, puramente “tecnico”) non potrà affrontare i reali problemi che interessano la vita dei cittadini della regione. Tutto il contrario di quel che ci servirebbe.
Questi tre mesi, però, occorrono ai partiti per organizzarsi, predisporre le liste, tentare di ritrovare, se l’hanno persa, la barra della propria iniziativa, allestire gli accordi per coalizioni e candidati governatori; e servono alla Giunta in carica per evitare che il giudizio sul proprio operato passi unicamente sotto il setaccio dell’ultimo scandalo.
Io penso invece che forze politiche responsabili dovrebbero anteporre alle proprie difficoltà ed esigenze la tutela degli interessi dei cittadini che rappresentano, anche a rischio di essere elettoralmente punite per questo.
La domanda allora si fa d’obbligo.
Siamo sicuri che il fastidio procurato ai 400mila elettori che dovrebbero votare due volte e la spesa per il doppio appuntamento elettorale (per una ventina di amministrazioni) non siano giustificati dal beneficio, per i cittadini di tutta la regione, di riavere al più presto un governo regionale forte e nel pieno delle sue funzioni?