Informazione: no al guinzaglio

Informazione: NO al guinzaglio. Diritto di sapere, dovere di informare.

Questo è lo slogan della manifestazione convocata per domani alle 15.30 a Piazza del Popolo a Roma.

Roberto Saviano “Cosa vuol dire libertà di stampa” riassume su Repubblica di oggi le ragioni per ribellarsi alla limitazione della libertà di informare e informarsi dovute all’attuale (di fatto) monopolio televisivo e allo strapotere esercitato su gran parte degli organi dell’informazione a stampa.

La mia adesione alla manifestazione di domani è ulteriormente motivata da tutte le proposte di regolamentazione, restrizione e controllo dell’espressione in rete, sottoposte negli ultimi mesi alla discussione parlamentare dal governo e dai suoi rappresentanti.

Sul blog di Diritto alla rete si può sottoscrivere e partecipare all’appello dei blogger: “un post per la libertà d’informazione in rete”.

A domani.

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Oggi a Roma contro la mafia

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Alle 14.00: da piazza Bocca della verità a Piazza Navona

Dove sono le donne?

Qualche giorno fa Miren Gutierrez, giornalista dell’agenzia di stampa IPS (InterPress Service) mi ha intervistata su un tema che mi sta molto a cuore e che è, nell’Italia di oggi, di enorme importanza: la presenza delle donne nella politica italiana. A partire dai fatti vergognosi che negli ultimi mesi hanno segnato la vita politica del nostro paese e che attorno alla presenza femminile nella politica italiana (sostanziale? ornamentale? necessaria? accessoria?) hanno stimolato interventi e prese di posizione,  l’intervista ripercorre anche alcune idee del movimento femminista italiano, le sue conquiste e le sue sconfitte.

Ecco i link all’intervista (in due parti):

parte 1

parte 2

Qui in inglese:

parte 1

parte 2

Afghanistan, che ci stiamo a fare?

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, gli Stati Uniti attaccano l’Afghanistan al rifiuto dei talebani al governo di estradare Osama bin Laden, il capo di Al-Qaeda.
Nel dicembre 2001 Hamid Karzai (ex consigliere della compagnia petrolifera Unocal) viene nominato capo del governo provvisorio, ed eletto presidente a fine 2004, ma già nel 2005 la guerriglia dei talebani riprende nel Nord del Paese.
Nel 2006 gli Usa e la Nato si impegnano nella campagna militare ancora in corso, con l’impiego di migliaia di truppe e intensi bombardamenti aerei. Ma l’avanzata dei talebani e di altri gruppi della resistenza armata afgana continua, e oggi questi controllano tre quarti del Paese.

Il 20 agosto si sono svolte nuove elezioni, sulle quali grava il dubbio di numerosi e consistenti brogli. Elezioni che, secondo i risultati definitivi resi ufficiali il 14 settembre (pur mancando allo scrutinio ancora il 5% delle schede) confermano Karzai come presidente con il 54,3% dei voti e sconfitto il suo sfidante ed ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah.

Otto anni di guerra; un bilancio di vittime causate dalle azioni militari, tra civili e militari, afgani e stranieri, giunto alla terribile cifra di 60.000; altre decine di migliaia di persone morte per le malattie e la fame provocate dalla guerra. L’operazione Enduring Freedom voluta da Bush divenuta una possibile replica del Vietnam per gli USA, come teme il presidente Obama. E bin Laden ancora libero…

La democrazia non si esporta, tanto meno a colpi di missili.
Che cosa aspettiamo per tornare tutti a casa?

Per saperne di più:

Peacereporter
Limes

Lettera aperta a Carlo Vulpio (a proposito delle recenti elezioni europee e altro)

Caro Carlo,

nei giorni immediatamente successivi il voto del 6/7 giugno avevo seguito i tuoi interventi a proposito della campagna elettorale e della mancata elezione al Parlamento europeo. Solo recentemente ho però avuto modo di leggere il post (Ecco perché non sono entrato nel Parlamento europeo) che hai pubblicato nel tuo blog l’11 di luglio e ho pensato di rispondere pubblicamente, non solo a te ma a tutti coloro che sono vicini a Idv e si interrogano su questa come su altre vicende che agitano la vita di questo partito in una fase politica tra le peggiori della storia d’Italia.

Anche io, con te e molte altre persone, sono stata candidata come indipendente al Parlamento europeo con l’Italia dei valori. E come te ho condiviso, prima di ogni altra cosa, “un progetto politico fondato sulla difesa e sull’applicazione della Costituzione italiana”.
Questo progetto (per quanto riguarda me, avviato dalla proposta avanzata da Di Pietro su indicazione di Gianni Vattimo) aveva come perno l’avvio di un processo di rinnovamento interno all’Italia dei valori che trovava la sua espressione nelle tante candidature di indipendenti, donne e uomini della “società civile” le quali, vale la pena ricordarlo, costituivano la maggioranza dei nomi inseriti nelle liste. Le candidature di Sonia Alfano, Luigi de Magistris e Carlo Vulpio non sarebbero state sufficienti a convincermi di accettare a mia volta. Ciò che ho ritenuto qualificante è stato l’impegno preso con tante persone (e reciprocamente assunto da loro con Idv) perché quel percorso di cambiamento potesse veramente procedere in modo diffuso nel territorio, oltre e dopo gli esiti del voto relativi al Parlamento europeo, rendendo praticabile l’inclusione estesa di risorse, orientamenti ed esperienze fino a quel momento scarsamente rappresentati all’interno di Idv.

D’altra parte, dei sette parlamentari eletti con Idv a Strasburgo (Alfano, Arlacchi, De Magistris, Iovine, Rinaldi, Uggias, Vattimo) ben sei si sono presentati come indipendenti, confermando le attese motivate da quelle candidature. Il difetto consiste, più che nell’assenza di Vulpio, nel fatto che tra i sette eletti vi sia una sola donna! Tra l’altro, essendo l’età media delle donne candidate sensibilmente più bassa di quella degli uomini, si sarebbero presi, come si dice, due piccioni con una fava (senza vincolare il rinnovamento a un puro fatto anagrafico, questo dato ha pur il suo peso nel modo con cui si partecipa alla vita politica).

Detto questo, anche io ho “subito” un trattamento che non sempre ho ritenuto corretto da parte di Idv durante la campagna elettorale. A partire dalla composizione delle liste che (dagli impegni presi con me al momento della candidatura) avrebbero dovuto prevedere, nella circoscrizione in cui sono stata candidata, i nomi di Di Pietro e Rinaldi in testa di lista per poi seguire gli altri in ordine alfabetico. La motivazione di tale scelta mi era parsa un’ulteriore conferma della volontà di fare sul serio: tutti candidati “alla pari”, in un gioco di squadra che, pur facendo perno sulle rispettive esperienze e qualità delle persone, moltiplicava la sua capacità di attrazione proprio per la condivisione collettiva di un progetto. La testa di lista nella terza circoscrizione, invece, conteneva ben sei nominativi (quasi metà dei candidati, una sola donna), con ovvie conseguenze di minore visibilità e credibilità per coloro che da quel sestetto erano esclusi. Ma a mio parere con minore forza e credibilità per tutti, anche coloro che in quella rosa erano inclusi: un difetto (se non altro) di comunicazione, del quale spero si faccia tesoro per il futuro.

La forza della “terna” Alfano, de Magistris, Vulpio, come tu scrivi “simboli dei temi antimafia, giustizia, informazione”, sarebbe penso risultata ancor maggiore se avessimo voluto e saputo stabilire relazioni più strette tra noi, tutte e tutti noi candidati indipendenti presenti nelle liste di Idv, a prescindere dal sostegno “supplementare” del quale quei tre candidati (tre sulla carta, per lo meno) godevano da parte di Beppe Grillo, dei meetup e della Casaleggio. Hanno spesso prevalso altre logiche: diffuse resistenze, qualche personalismo, un modo noto di fare politica che è più facile riprodurre che cambiare. Nonostante questo, a me non è passata per la mente neppure un momento l’idea di ritirarmi dalla competizione, per una ragione su tutte. In quei due mesi scarsi di campagna elettorale ho avuto l’opportunità e il privilegio di conoscere, ascoltare, dialogare con moltissime persone, assetate, prima di ogni cosa, della possibilità di fidarsi dei propri candidati. Aver conquistato la loro stima (e ricambiarla) è per me uno straordinario obiettivo raggiunto dall’operazione voluta da Di Pietro, nella quale mi riconosco e alla quale sono orgogliosa di avere, per la mia piccola parte, contribuito. E, a quanti hanno votato me, posso dire che quei voti sono serviti a portare al Parlamento europeo persone oneste e capaci che svolgeranno con coerenza il compito cui sono chiamate.

Ora si tratta di non disperdere quel lavoro, quell’impegno, le ragioni che ci hanno condotto a compiere una scelta. Per questo sono certa, Carlo, che ci incontreremo ancora (al di là degli incarichi) nelle battaglie, aspre e numerose, che attendono chiunque condivida il nostro bisogno di vedere ripristinate le regole del confronto democratico, della giustizia e della legalità, della difesa dei più deboli, dell’affermazione dei diritti di piena cittadinanza per ogni persona che vive nel nostro Paese.

Per me, come da impegni presi con Antonio Di Pietro al momento della candidatura per le europee, significa restare con convinzione al servizio di questo progetto, accettando la candidatura per le prossime elezioni del Consiglio regionale del Lazio.
A livello locale e regionale la scommessa del 2010 è al tempo stesso ardua e decisiva: affermare la politica, che dovrebbe essere ovvia, del buon governo nella cosa pubblica. Un obiettivo, questo, distante anni luce dal concreto esercizio del potere che vediamo in atto quotidianamente. La possibilità che ciò avvenga passa attraverso due precondizioni: la scelta di candidati dalla indiscutibile onestà e la ricerca di alleanze fondate su precisi impegni programmatici e non azzoppate da intenti elettoralistici. La mia attenzione su questi due punti sarà estrema, poiché la mia posizione da indipendente richiede un atto di lealtà ancor maggiore nei confronti delle elettrici e degli elettori ai quali chiederò di confermare ed estendere la fiducia che mi hanno dato tre mesi fa. Quelle persone mi hanno votata conoscendo la mia collocazione di sinistra e la mia sensibilità verso i diritti che fondano la convivenza tra donne e uomini, indipendentemente dal colore della loro pelle, dalla lingua che parlano, dalle scelte familiari e sessuali che compiono, dai valori e dalle religioni nei quali credono o non credono.

Declinare i principi in azioni è la sfida della politica, se la politica non è asservita ai potenti, alle consorterie, alle associazioni criminali. Per farlo, oltre a sottoscrivere e sostenere il programma in dieci punti dell’Italia dei valori (qui il documento stampabile), io mi impegnerò direttamente e concretamente su questi obiettivi:

1. Trasparenza. Informare, semplificare, condividere: applicare queste regole alle attività e agli atti pubblici è una delle condizioni per ridurre gli sprechi, combattere l’evasione fiscale, eliminare i privilegi, tagliare i costi della politica e imporre la cultura del merito.

2. Libertà digitali. È necessario diffondere e moltiplicare la partecipazione e condivisione proprie del “popolo della rete”, utilizzandole come volano e supporto per superare i gap tecnologici, eliminare le barriere nell’accesso e favorire la partecipazione diretta dei cittadini alla vita pubblica. Diffusione della banda larga, gratuità delle connessioni, educazione all’uso di Internet sono interventi urgenti. Così come è urgente, anche a livello locale, definire una Carta dei diritti digitali che garantisca la libertà della circolazione e condivisione dei contenuti in rete.

3. Istruzione, cultura, ricerca. La democrazia vive dove l’ignoranza viene combattuta quotidianamente con ogni mezzo. Investire sul futuro, sulle capacità e le aspettative mortificate dei giovani non è un’opzione tra tante ma l’unica in grado di restituire all’Italia la fiducia in sé e nelle proprie migliori risorse. Non si tratta solo di spendere di più ma di spendere meglio: introdurre e far valere la cultura del merito e della valutazione contro favori e protezioni, premiare l’ingegno innovativo e creativo a svantaggio della semplice riproduzione dei saperi e della ricerca del guadagno, valorizzare il talento delle donne e coltivare le eccellenze in ogni campo.

4. Ambiente e salute. La Terra è principio e condizione di vita: continuare a depredarla significa mettere a repentaglio la sua stessa sopravvivenza. Il governo del territorio deve difendere ed estendere la tutela dei beni comuni, vincolare ogni decisione su energia, gestione dei rifiuti, accesso alle risorse primarie alle insindacabili priorità della difesa della salute e dell’ambiente. Dobbiamo essere consapevoli dei limiti delle risorse naturali, impegnandoci individualmente e collettivamente a risparmiarle e distribuirle equamente, penalizzando le iniziative che antepongono il profitto di pochi al bene di molti. Possiamo avviare azioni precise, con il territorio a farci da guida, innestando un circolo virtuoso che punti da subito all’utilizzo delle energie rinnovabili, al riciclo dei rifiuti, all’edilizia biocompatibile, alla riduzione e azzeramento delle emissioni nocive.

5. Diritti civili. La cittadinanza si realizza attraverso l’equilibrio tra libertà e responsabilità. Attribuire pari dignità alle scelte sessuali, religiose, familiari di ogni persona passa per il riconoscimento di un diritto e non tramite la concessione di un permesso. Occorrono politiche attive di garanzia ed estensione delle libertà per le coppie di fatto, per le scelte riproduttive e per il fine vita, affidandosi alle competenze e al buon senso prima ancora che a sofisticati apparati di legge. L’inadeguatezza delle iniziative anti-discriminatorie è evidente: l’inserimento in un contesto sociale si promuove estendendo i diritti connessi ai doveri di ciascuno, per esempio riconoscendo l’elettorato attivo a livello locale a tutti i residenti come avviene in molti paesi europei.

Su questi cinque punti aprirò un confronto e chiederò aiuto e collaborazione a tutte e tutti coloro che vorranno partecipare, attraverso il blog e in ogni sede che sapremo individuare, per riempirli di concrete proposte e far camminare le nostre idee. E mi auguro di trovarmi ancora al fianco di Carlo Vulpio in questo impegno.

19 luglio 2009

Ho vissuto in Sicilia circa due anni, vicino a Catania.
Uno dei ricordi più vividi e straordinari che ho di quella terra sono le passeggiate che insieme al mio compagno facevamo nella campagna intorno a Caltagirone. Ci piaceva camminare nei poggi vicini al sito archeologico di Sant’Ippolito, dove si estende una vasta necropoli siculo-greca. Giungevamo in quelle ampie colline incolte al mattino presto, prima che il sole si facesse incandescente, e spesso le trovavamo segnate da ampi e profondi solchi prodotti dai trattori. Ma non si trattava di arature destinate a preparare il terreno per le coltivazioni. No, il compito dei trattori era smuovere la terra predisponendola ai sopralluoghi degli apparecchi cercametalli.
Un “rodato” sistema di saccheggio del territorio, in questo caso dei beni archeologici, replicava un tristissimo copione che, per estrarre i metalli – più “facili”, per dimensioni e redditività – distruggeva ogni altro manufatto presente sotto terra.
Procedere per quelle terre dopo tali passaggi significava incontrare, quasi a ogni passo, frammenti di terraglie maciullati dalle ruote o dalle pale dei macchinari agricoli. Raccoglievamo cocci, assemblando pezzi e immaginando oggetti che ai nostri occhi rappresentavano tra le cose più preziose di quel territorio: per la storia, le abilità, la cultura di un popolo.
Nessuno osava ribellarsi e men che meno denunciare: a organizzare e gestire saccheggio e commercio erano famiglie note e temute della zona. E d’altra parte – questa era la giustificazione –, perché salvare qualche coccio destinandolo a finire in uno scantinato di museo?

Questo senso di impotenza, di sfiducia nello Stato, e prima ancora l’abitudine arresa al sacco delle ricchezze umane e ambientali, è una ferita sempre aperta in Sicilia. Una ferita che questa sera a Palermo – e in qualche altro luogo – si tenta di sanare.

***

La lettera di Salvatore Borsellino

Innanzitutto non vorrei che quello che stiamo preparando venisse chiamato o inteso come “commemorazione”.

Le commemorazioni si fanno in Via D’Amelio a Palermo ormai da 17 anni e quello che io voglio fare è proprio spezzare questa catena che sta diventando ormai una abitudine. Per alcuni, i palermitani, forse gli stessi che parteciparono alla cacciata dei politici dalla cattedrale di Palermo il giorno dei funerali dei ragazzi della scorta e che oggi sembrano avere dimenticato quei momenti di indignazione e di rivolta, è un momento per risollevarsi dall’indifferenza e dall’assuefazione nelle quali sono ricaduti e per giustificare davanti alla propria coscienza, con una sempre più stanca partecipazione di qualche ora di quel giorno, il loro silenzio di oggi, Per altri, i complici morali o materiali di quella strage, è un periodico ritornare sulla scena del delitto ed assicurarsi che le vittime siano state effettivamente eliminate; il mettere corone e sentire suonare il silenzio è qualcosa che psicologicamente li rassicura, è proprio il silenzio che vogliono fare calare sui veri motivi e i veri mandanti di quella strage.
Ma quel giorno il buio che questo sistema di potere ha fatto calare su tutto quanto riguarda Via D’Amelio, il centro del SISDE sul castello Utveggio, l’agenda rossa sottratta e per cui viene negato anche un dibattimento in un pubblico processo, si deve necessariamente interrompere e per un giorno i riflettori sono accesi e illuminano tutta la scena. E’ questo momento di pausa nelle tenebre che io voglio sfruttare per fare arrivare alla massa inerme dell’opinione pubblica il nostro grido di verità e di giustizia. E’ perché questo grido sia abbastanza forte e faccia tremare gli avvoltoi che come ogni anno caleranno in via D’Amelio è necessaria una massa di gente, che, ognuno con la sua agenda rossa levata in altro a simboleggiare la nostra voglia di Giustizia, gridi a questi impostori, a questi sciacalli, la propria rabbia. Ma non si potrà esprimere per questa iniziativa una solidarietà di massima, dire che Palermo è troppo lontana, che non si ha il tempo. E’ troppo spendere un giorno della nostra vita per chi ha dato la nostra vita per noi? Questa non deve essere una manifestazione qualsiasi, deve essere quella scintilla che dovrà provocare un incendio nella massa amorfa di chi non sa, non si rende conto del baratro in cui è precipitato il nostro paese. Da Palermo è cominciato tutto e a partire da Palermo tutto deve cambiare. E’ la nostra ultima occasione o dobbiamo rassegnarci a vivere in un paese di schiavi. E non basterà neanche partecipare, bisognerà che ciascuno di noi si attivi al massimo delle proprie possibilità perché questa manifestazione abbia il massimo della partecipazione e il massimo della risonanza. O sarà ancora una occasione sprecata. E non credo che possiamo permettercene ancora.

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