Per chi si trova a Roma, l’appuntamento è alle 19.00 a Piazza Navona.
Per la prima volta nella storia della Rete i blog entrano in sciopero con una giornata di rumoroso silenzio contro il disegno di legge Alfano, i cui effetti sarebbero quelli di imbavagliare l’informazione in Rete.
Il cosiddetto obbligo di rettifica, pensato sessant’anni fa per la stampa, se imposto a tutti i blog (anche amatoriali) e con le pesanti sanzioni pecuniarie previste, metterebbe di fatto un silenziatore alle conversazioni on line e alla libera espressione in Internet.
La rete è un diritto, diritto alla rete.
Quella che segue è una lettera aperta che stiamo facendo circolare per informare e sensibilizzare circa i provvedimenti di fermo e di arresto avvenuti in questi giorni a carico di giovani in tutta Italia.
Tra le prime adesioni, quelle di Gianni Vattimo, Dario Fo e Franca Rame.
Qui si può sottoscrivere la lettera e qui si può aderire alla causa su Facebook.
***
La coscienza civile si risvegli, la libertà di dissenso va difesa
Segnali allarmanti sullo stato di salute delle garanzie democratiche e dei diritti di libertà in Italia si sono sommati in rapida successione in questi giorni. Ne hanno fatto le spese le giovani e i giovani colpiti dai provvedimenti di privazione della libertà personale in un contesto che dovrebbe essere tra i più protetti in uno stato di diritto: quello della manifestazione di dissenso, anche il più radicale. Nella settimana del secondo G8 presieduto da Silvio Berlusconi, dopo quello tristemente noto di otto anni fa a Genova, ordini di carcerazione sono stati eseguiti a carico di 21 partecipanti alla contestazione dell’Onda studentesca nei confronti del “G8 dei rettori” di Torino, risalente a due mesi prima. Il giorno seguente, durante le prime contestazioni all’incontro dei capi di Stato e di governo, in occasione del transito a Roma delle delegazioni internazionali verso la sede del summit a Coppito nell’Abruzzo terremotato, gli ordini di carcerazione hanno riguardato 8 dei 36 giovani fermati nel corso di un corteo partito dalla terza Università pubblica della capitale. Un corteo caricato dalle forze dell’ordine senza ragione alcuna, mentre i manifestanti stavano per sciogliersi e raggiungere la manifestazione convocata all’Università la Sapienza contro gli arresti del giorno prima. Nulla aveva compiuto il corteo nei confronti di cose e persone, e non risulta, né è stata contestata agli indagati, lesione alcuna all’incolumità di chicchessia. Mentre tra i fermati, chi è stato trattenuto in carcere, in stato d’arresto e perfino in regime di semi-isolamento, è noto essere impegnato in quotidiane e trasparenti attività politiche e sociali. Esattamente come è avvenuto con gli arresti di esponenti dell’Onda, e dei movimenti che l’appoggiano, effettuati il giorno prima in tutta Italia.
Non è democrazia reale quella nella quale l’attività politica organizzata e l’espressione aperta delle proprie opinioni, anche rivolte al cambiamento profondo dell’ordine costituito, diventano motivo di repressione e restrizione della libertà personale. Né si possono considerare integre, piene ed effettivamente tutelate le garanzie di agibilità democratica in un Paese, quando in esso l’autorità esercita forme di repressione generalizzata delle contestazioni collettive di dissenso, tanto più in occasioni delicate come un vertice internazionale di governi. La manifestazione del dissenso è infatti parte della normale dialettica di una società democratica.
Se la repressione delle posizioni “radicali” si fa sistematica e continua, se chi le esprime è altrettanto sistematicamente e continuamente sottoposto all’applicazione delle misure più estreme di restrizione della propria libertà, le coscienze di chi ha a cuore la democrazia devono allarmarsi. Devono allarmarsi per le sorti della democrazia e della libertà di tutti: si comincia dalle posizioni radicali e non si può prevedere dove ci si fermi.
Se l’autorità si trasforma in attività di repressione politica, ogni coscienza democratica deve prendere voce, poiché la vigilanza civile non può essere a tempo determinato: se chiude gli occhi, si rassegna a perdere una quota di democrazia, un pezzo di libertà. E a pagarne i costi sono tutte e tutti, giacché la democrazia e la libertà sono indivisibili.
Reagiamo con una convinta e intensa mobilitazione politica, sociale e culturale alle lesioni che democrazia e libertà hanno subito con gli episodi repressivi di questi giorni. Non lasciamo sole e soli questi giovani. Denunciamo, in ogni sede, la grave responsabilità assunta da chi questi episodi ha voluto, disposto e realizzato.
La coscienza civile si risvegli, subito.
Luisa Capelli, Giovanni Cerri, Giacomo Marramao
Questo blog aderisce alla giornata di silenzio indetta per il 14 luglio da giornalisti, blogger e operatori dei media contro il decreto Alfano e per la libertà di informazione.
Ho scritto il 6 maggio il mio orientamento in merito al voto per il referendum e riassumo qui la mia posizione.
I tre quesiti referendari riguardano la legge elettorale vigente: i primi due introducono il premio di maggioranza alla lista più votata e la soglia di sbarramento al 4% per l’elezione della Camera e all’8% per il Senato; il terzo prevede l’abrogazione delle candidature multiple (uno stesso candidato, cioè, non potrebbe più presentarsi in diverse circoscrizioni elettorali). Le tre domande poste agli elettori non sono, in effetti, abrogative della legge attuale: esse servirebbero a “ritoccare” la legge “porcellum” senza modificarne gli aspetti sostanziali.
Al terzo quesito (scheda verde) voterò SÌ: che i candidati siano solo quelli che effettivamente potranno rappresentarci se eletti, non specchietti-acchiappa-elettori o coloro che, sulla base delle rinunce decise dalle burocrazie di partito, sono da esse più facilmente ricattabili.
Sui primi due quesiti (scheda viola e scheda beige) mi asterrò, non ritirando le schede al seggio: il mancato raggiungimento del quorum manterrà la situazione inalterata e i partiti dovranno finalmente procedere all’approvazione di un nuovo pacchetto normativo che elimini l’attuale “porcellum” e dia al nostro Paese una legge elettorale degna di questo nome.
Il 3 giugno scorso, in uno degli ultimi incontri della campagna elettorale dedicato alle libertà digitali, qualcuno è intervenuto lanciando l’allarme sull’approvazione dell’emendamento D’Alia al Senato. Ricordo (ma ne ho già scritto qui il 29 aprile) che l’emendamento D’Alia prevedeva, per gli utenti della rete, forme inedite di controllo e pesanti sanzioni per alcuni comportamenti ritenuti illeciti.
Come ho cercato inutilmente di sostenere quella sera, l’emendamento, approvato al Senato, era stato successivamente cancellato dal voto della Camera. Qualcuno però aveva rispolverato le notizie di mesi addietro, le aveva fatte circolare in rete e una catena di santantonio di distratti (per essere buoni) le ha spammate dappertutto.
Ne hanno scritto ieri D’Amato e Zambardino meglio di quanto potrei fare io. Mi limito qui a raccogliere l’appello a far circolare la notizia corretta.