Disegno di legge “sulla sicurezza”: senza vergogna

Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha dichiarato che chiederà al governo di porre la questione di fiducia al disegno di legge sulla sicurezza, se non avrà la certezza che questo verrà approvato dal voto compatto della maggioranza.

Non vuole correre rischi, il ministro dell’Interno, e pretende che i punti più contestati del decreto, nonostante la doppia bocciatura di Camera e Senato, una volta rientrati dalla finestra del disegno di legge che andrà in discussione alla Camera, non subiscano la sorte già vissuta dal decreto.

Le questioni contestate, anche all’interno della maggioranza, sono quelle relative all’istituzione delle ronde e al prolungamento fino a sei mesi della permanenza nei Cei (Centri di identificazione ed espulsione per gli immigrati).
Ma dal disegno di legge non è ancora certo che scompaiano l’obbligo di denuncia dei clandestini da parte dei medici e la possibilità di “oscurare” i siti web “in caso di accertata apologia o di incitamento” al reato; mentre vi permangono di sicuro altre norme profondamente lesive dei diritti umani, come il divieto di registrare i bambini nati da immigrati clandestini.

Un disegno di legge, se approvato, che violerà apertamente la nostra Costituzione e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, laddove queste vietano qualsiasi forma di discriminazione fondata sul colore della pelle, l’origine etnica o sociale, la lingua e la religione.
Una legge che ci spingerà ancora più in alto nella orrenda classifica degli Stati Europei per violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Classifica che nel 2008 ha visto l’Italia al secondo posto, dopo la Romania: per tali violazioni abbiamo pagato quasi 10 milioni di euro, un quinto di quanto pagato complessivamente dai 47 Paesi membri del Consiglio d’Europa (fonte: Emigrazione notizie).

Perciò questa mattina sarò tra coloro che parteciperanno al presidio davanti alla Camera dei deputati per manifestare il mio dissenso.

Proprietà intellettuale e condivisione della conoscenza

Sono trascorsi pochi giorni dalla sentenza del processo a The Pirate Bay, uno dei maggiori siti di scambio di file via internet (qui un post interessante con successiva discussione).
Di copyright, file sharing, mp3 e pdf che circolano in rete si continua a parlare, non solo in Italia, quasi unicamente per affermare il diritto delle major discografiche o degli editori a difendere i propri interessi economici. Tornerò su questi argomenti; intanto, sottraendoci ai luoghi comuni del mainstream informativo, vi propongo una storia esemplare (passata quasi inosservata sulla stampa), che mostra come la condivisione della conoscenza abbia ben altra portata.

Ilaria Capua, una ricercatrice italiana che dirige il Centro di referenza per l’influenza aviaria dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, nel 2006, in piena “emergenza aviaria”, individua il virus africano della malattia. L’Organizzazione Mondiale della Sanità le propone di entrare in un “club” di ricercatori che hanno accesso riservato a un database in cui vengono scambiati (ma solo tra coloro che ne fanno parte) i risultati delle ricerche. Consapevole dell’importanza della scoperta compiuta dal suo laboratorio, e degli effetti positivi che una sua circolazione rapida ed estesa può produrre nell’arresto della diffusione del virus, declina l’offerta dell’OMS e inserisce l’esito del suo studio in Genbank, un archivio digitale aperto (nel quale, cioè, le ricerche pubblicate sono di pubblico dominio, accessibili a chiunque, in particolare a tutta la comunità scientifica, senza limitazioni proprietarie o commerciali).
Nel 2007 la dottoressa Capua ha vinto il premio SciAm50 per la leadership in science policy assegnato dalla rivista “Scientific American” e nel 2008 figura tra le cinque “Revolutionary Minds” dell’anno per la rivista americana Seed Magazine.

A proposito di copyright e copyleft, proprietà intellettuale e condivisione della conoscenza il Parlamento europeo può fare molto, ne scriverò prossimamente. Intanto, chi vuole saperne di più, può leggere questo post di Arturo di Corinto e navigare tra i link che trova qui a fianco.

Il Papa e l’ora di religione

Ieri il Papa è tornato a parlare di insegnamento della religione nella scuola italiana, sostenendo che questo sia “un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva, fondata sul rispetto reciproco e sul dialogo leale, valori di cui un paese ha sempre bisogno”.

Ora, sorvoliamo sul fatto che uno “spirito positivo di laicità” dovrebbe prevedere, a pari condizioni, il non-insegnamento di “religione” e quello di confessioni diverse dalla cattolica.

Passiamo anche sopra al fatto che nel 2009 sarebbero molti gli insegnamenti utili da introdurre o potenziare nei programmi scolastici al pari, se non al posto, della religione: non solo quelli “tecnici”, cui si ispiravano le “tre I” della Moratti (inglese, internet, impresa), quanto quelli in grado di preparare al mondo come è – geografia politica, lingue e culture dei paesi non occidentali, educazione ambientale, ecc.

Trascuriamo pure (se ci riesce, in questi tempi di magra) sul fatto che i circa 25.000 insegnanti di religione che lavorano nella scuola pubblica italiana, pur essendo scelti dalla Conferenza Episcopale Italiana, sono retribuiti dallo Stato, con un costo, nel 2001, di 620 milioni di euro, quasi il 2% della spesa per il personale scolastico (fonte Wikipedia).

Ciò che proprio non si può fare è fingere di non vedere quanto sia, per usare un eufemismo, scarsamente apprezzato da ragazze e ragazzi questo insegnamento. Sappiamo tutti che esso viene da loro considerato alla stregua di “un’ora di buco”: un’ora durante la quale, se va bene, si parla di qualche tema di attualità, ma per lo più non si fa nulla…

Partiamo dall’enorme risorsa rappresentata dalle energie e dalla disponibilità dei giovani di investire nello studio e nel sapere, per stabilire i curricola scolastici, piuttosto che fare gli interessi di poteri che dovrebbero conquistare nuove anime con ben altri strumenti.

Università: quanto ci costa studiare

Poco più della metà degli iscritti all’Università italiana è in regola con il corso di studi. Il 47% è rappresentato da chi ha abbandonato, è fuori corso o ripetente e anche i laureati diminuiscono del 2%: per la prima volta da quando è in vigore il così detto 3+2 (fonte MUR).

Ma anche le immatricolazioni calano: per l’anno accademico 2008/09 -4,4% rispetto all’anno precedente. Solo il 67% dei diplomati (che invece aumentano) ha scelto di iscriversi all’università l’anno scorso, contro il 75% dell’anno prima.

Bamboccioni che restano a casa a far nulla (giacché il lavoro non è che abbondi, là fuori dalle aule accademiche…)? Fannulloni i professori che non riescono ad attrarli? Varrebbe la pena riflettere meglio su altri dati, per esempio il costo che affrontano le famiglie per gli studi universitari.

Tra il 2002 e il 2007, a fronte di un incremento del 22% (prima delle defezioni viste sopra), la spesa affrontata dagli studenti è passata da 1 miliardo e 100 milioni di euro a 2 miliardi e 79 milioni (l’89% in più). Di questi oltre 2 miliardi, una minima parte, 260 milioni, sono stati spesi per incrementare i servizi a favore degli studenti (borse di studio, prestiti, alloggi, ecc.).

Mentre si pontifica sulla necessità di mettersi al passo con i tempi (efficienza, competitività, ecc.) e si magnificano le virtù dell’innovazione (ma quale? in quale direzione?), si riducono le risorse, soprattutto quelle che, direi “naturalmente”, dovrebbero tornare, sotto forma di servizi e prestazioni ai legittimi destinatari.

Non c’è da stupirsi, dunque, se le decisioni assunte dal governo (contenute nella famigerata legge 133/2008) siano state vissute come la goccia che fa traboccare il vaso, e nell’autunno scorso si sia sollevata la ribellione degli studenti (e di molti docenti).

Aprirò un confronto su quanto sarà possibile fare, dal Parlamento europeo, per invertire scelte politiche nefaste, non solo per il sistema formativo e la ricerca, ma per il futuro stesso del nostro Paese: lo farò a partire da coloro che considero i primi interlocutori per qualsiasi intervento che riguardi l’università, gli studenti.

25 aprile

Rimanevo ogni volta stupita dalla mitezza di mio padre quando mi raccontava le ragioni per le quali era divenuto antifascista e poi era entrato nella Resistenza. “Sai – diceva – i fascisti maltrattavano le ragazze, la loro violenza nei confronti delle donne era per me insopportabile, più delle sopraffazioni alle quali tutti eravamo sottoposti”. Così è diventato partigiano, poi comandante della Gap Irma Bandiera Garibaldi che guidò, insieme alla 7a Gap, la battaglia di Porta Lame, decisiva per la liberazione di Bologna. Nessuna retorica, alcun ideologismo e men che meno eroismo: soltanto la ribellione di un giovane operaio metalmeccanico con la seconda elementare che non poteva tollerare prepotenze e abusi sulle ragazze.
Ricordare e partecipare alle celebrazioni per il 25 aprile può costituire per qualcuno un espediente comunicativo; per me, e per tutti quanti conservano memoria del dolore seminato nel nostro Paese dal fascismo e dal nazismo, continua ad avere un significato speciale.
Non fu una guerra civile, quella che si combatté in Italia in quegli anni, ma la reazione di un popolo all’occupazione, alle deportazioni, agli eccidi: la Liberazione dal regime e l’inizio del cammino verso la costituzione della Repubblica.

Angeli che volano alto

Sonia Alfano, funzionaria regionale
Marianna Anastasia, avvocata
Gloria Bardi, insegnante
Ilaria Beretta, redattrice
Luisa Capelli, editrice
Erminia Gatti, avvocata
Lilia Infelise, economista
Dringa Milito Pagliara, avvocata
Manuela Paladini, ex dirigente aziendale
Maruska Piredda, assistente di volo
Elisabetta Rolli, architetta
Cristina Scaletti, immunologa
Lorella Vezza, impiegata

Eccoci qua: le candidate nelle liste dell’Italia dei valori per l’elezione del Parlamento europeo.

L’80% tra noi sono laureate, età media 43 anni, per il 70% ci presentiamo come indipendenti. Tutte abbiamo alle nostre spalle e nel nostro presente una storia umana e professionale che abbiamo deciso di investire in un progetto di rinnovamento della politica. Ma molti giornalisti ci hanno rappresentato come le “Tonino’s angels”: ancora una volta, nel 2009, o madonne o puttane? Noi tiriamo dritto, voi votateci ;-).

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