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Rimanevo ogni volta stupita dalla mitezza di mio padre quando mi raccontava le ragioni per le quali era divenuto antifascista e poi era entrato nella Resistenza. “Sai – diceva – i fascisti maltrattavano le ragazze, la loro violenza nei confronti delle donne era per me insopportabile, più delle sopraffazioni alle quali tutti eravamo sottoposti”. Così è diventato partigiano, poi comandante della Gap Irma Bandiera Garibaldi che guidò, insieme alla 7a Gap, la battaglia di Porta Lame, decisiva per la liberazione di Bologna. Nessuna retorica, alcun ideologismo e men che meno eroismo: soltanto la ribellione di un giovane operaio metalmeccanico con la seconda elementare che non poteva tollerare prepotenze e abusi sulle ragazze.
Ricordare e partecipare alle celebrazioni per il 25 aprile può costituire per qualcuno un espediente comunicativo; per me, e per tutti quanti conservano memoria del dolore seminato nel nostro Paese dal fascismo e dal nazismo, continua ad avere un significato speciale.
Non fu una guerra civile, quella che si combatté in Italia in quegli anni, ma la reazione di un popolo all’occupazione, alle deportazioni, agli eccidi: la Liberazione dal regime e l’inizio del cammino verso la costituzione della Repubblica.