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Ieri il Papa è tornato a parlare di insegnamento della religione nella scuola italiana, sostenendo che questo sia “un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva, fondata sul rispetto reciproco e sul dialogo leale, valori di cui un paese ha sempre bisogno”.
Ora, sorvoliamo sul fatto che uno “spirito positivo di laicità” dovrebbe prevedere, a pari condizioni, il non-insegnamento di “religione” e quello di confessioni diverse dalla cattolica.
Passiamo anche sopra al fatto che nel 2009 sarebbero molti gli insegnamenti utili da introdurre o potenziare nei programmi scolastici al pari, se non al posto, della religione: non solo quelli “tecnici”, cui si ispiravano le “tre I” della Moratti (inglese, internet, impresa), quanto quelli in grado di preparare al mondo come è – geografia politica, lingue e culture dei paesi non occidentali, educazione ambientale, ecc.
Trascuriamo pure (se ci riesce, in questi tempi di magra) sul fatto che i circa 25.000 insegnanti di religione che lavorano nella scuola pubblica italiana, pur essendo scelti dalla Conferenza Episcopale Italiana, sono retribuiti dallo Stato, con un costo, nel 2001, di 620 milioni di euro, quasi il 2% della spesa per il personale scolastico (fonte Wikipedia).
Ciò che proprio non si può fare è fingere di non vedere quanto sia, per usare un eufemismo, scarsamente apprezzato da ragazze e ragazzi questo insegnamento. Sappiamo tutti che esso viene da loro considerato alla stregua di “un’ora di buco”: un’ora durante la quale, se va bene, si parla di qualche tema di attualità, ma per lo più non si fa nulla…
Partiamo dall’enorme risorsa rappresentata dalle energie e dalla disponibilità dei giovani di investire nello studio e nel sapere, per stabilire i curricola scolastici, piuttosto che fare gli interessi di poteri che dovrebbero conquistare nuove anime con ben altri strumenti.